Il principale problema delle persone affette da autismo in Italia è quello culturale, o meglio del vuoto culturale che permea le vite degli stessi e delle loro famiglie. Di autismo nessuno parla e quando se ne parla lo si fa a sproposito, in maniera superficiale, vedi il caso Mineo-Renzi.
Anche Nicoletti prende la stessa posizione dicendo: “Non è molto che mi occupo a tempo pieno d’autismo, pensavo di doverlo fare solamente per mio figlio, ma non mi basta più.- e continua dicendo – Non posso immaginare un futuro accettabile per Tommaso se non cambia la percezione generale rispetto all’autismo. Già sarebbe rasente ai limiti dell’impossibile riuscire a concretizzare per lui una vita più che appena dignitosa. Per un autistico in Italia non c’è altra speranza che quella di finire rinchiuso in una struttura che archivia malati psichiatrici di ogni tipo. Nessuno in Italia è stato ancora capace di diffondere nella percezione comune il concetto che gli autistici non sono soltanto “bambini autistici”, quei bambini crescono e crescono molto in fretta. Le loro famiglie hanno pochissimi punti fermi e quei pochi sono spesso vacillanti e danno loro risposte ambigue.”
Come si evince dalle parole di Nicoletti il supporto che ricevono i genitori e parenti di una persona con un disturbo dello spettro autistico certe volte non è sufficiente, infatti il “lavoro” di madre o padre di una persona con autismo è un impegno full time, 7 giorni su 7.
Questo impegno, già particolarmente oneroso, quando si ha un figlio è in tenerà età, aumenta in difficoltà con il passare del tempo portando la famiglia a dover gestire situazioni per le quali non sono pronti, senza l’aiuto da parte delle istituzioni.
Con il passare dell’età ed il sopraggiungere dell’adolescenza per alcuni genitori la situazione diventa addirittura critica, ne è un esempio il caso della mamma disperata che si trova ad affrontare da sola un figlio adolescente al quale non è mai stato insegnato un modo per scaricare la tensione e lo stress derivati da questo periodo di transizione.
Essere genitore è uno degli impegni più gratificanti e difficili della vita e nessuno insegna a diventare mamma o papà, a maggior ragione se si è genitori di un figlio affetto da autismo, ecco perché sarebbe opportuno che le istituzioni proponessero un percorso formativo adeguato. Appare scontata, anche ai non addetti ai lavori, la necessità di avere linee guida, o quantomeno un insieme di direttive più o meno standard per aiutare i genitori a scoprire qual’è il modo più efficace per approcciarsi a questa situazione così delicata.
Per Nicoletti: “Alla fine basterebbe poco: rendere obbligatorio il test precoce entro i 18 mesi e si avrebbero meno autistici adulti completamente non autosufficienti. Fornire alle famiglie le terapie comportamentali, le sole che è provato diano risultati. Formare operatori specializzati e introdurli al sostegno scolastico. Lavorare a una vera politica dì inclusione di questi soggetti che parta dall’autonomia dal monopolio familiare, fino a un progetto concreto per il “dopo di noi””.
Fondamentale insomma la tempestività della diagnosi e la strutturazione di un percorso formativo (a cura di un professionista) che può portare ad uno sviluppo di strategie di gestione dell’ansia, normalmente scaturita da situazioni stressanti aiutando così a raggiungere una maggiore autonomia sia percepita che effettiva da parte della persona che, se non incorre in situazioni eccessivamente stressanti riesce a mantenere uno standard di vita molto buono.