Non so dire se la legge sull’autismo, fino a poche settimane fa in discussione in Commissione al Senato, sia ora ferma su un binario morto o attraversi un momento di impasse. Spesso, in casi come questi, sentiamo parlare di “pausa di riflessione”, di “necessario approfondimento” (perché finora di cosa si è parlato?), di bizantinismi vari, ma per antica esperienza personale sappiamo che queste espressioni non preludono quasi mai a eventi propriamente “meravigliosi”.
Qui è appena il caso di ribadire che l’attesa messianica è un esercizio che con l’autismo funziona poco e male, e se è vero che un eventuale intervento legislativo costituisce un’opzione sicuramente importante insisto nel sottolineare che esso non rappresenta affatto, a mio giudizio, l’unica soluzione di un problema che, come dimenticarlo?, affonda le sue radici in un retroterra – non solo culturale – assai angusto.
Credo, allora, che sia arrivato il momento di cominciare a misurarsi con questa realtà. Non ci possiamo limitare ad attendere passivamente il maturare degli avvenimenti né ci è consentito di impantanarci in polemiche ragionieristiche, vedi i cosiddetti tagli che sarebbero di ostacolo all’approvazione di questa e di altre leggi sul welfare, che – se appassionano banche, finanza e cultori dei decimali dello spread – di certo non alimentano un particolare entusiasmo tra i genitori di persone disabili né nobilitano i nostri figli.
Se è così va costruita una strategia alternativa che non costituisce affatto una resa o un ripiego, bensì una risposta a esigenze che erano e rimangono di stretta attualità, e che “domani” potranno ben integrarsi con una legge specifica sull’autismo.
Penso in particolare che all’ordine del giorno dell’agenda dell’autismo va posto immediatamente il tema della formazione. O, se si preferisce (sarò brutale nel dirlo, ma non mi gioco la carriera), quello di come fronteggiare l’incompetenza della maggior parte delle figure, sanitarie, sociali, politiche, pubbliche e private, che si occupano, o che dovrebbero occuparsi, di autismo.
Perché nascondere tutto ciò, visto che molti di noi sperimentano quotidianamente un vuoto di competenze che circonda i nostri figli nell’ambiente familiare, scolastico, comunitario in cui vivono?
Bene: io penso che questo vuoto non si colma dispensando “rapporti 1:1”, se poi nessuno sa cosa serve fare esattamente e non possiede gli strumenti per controllare il lavoro svolto dagli operatori.
Diciamolo con franchezza: la regola è che siamo circondati da neuropsichiatri, da logopedisti, da psicologi che hanno in cura i ragazzi e gli adulti autistici senza possedere la minima idea del disturbo che si trovano di fronte (ho detto “regola”. Non escludo affatto lodevoli eccezioni e chiedo a tutti il favore di non essere autoreferenziali… Proviamo a guardare oltre il nostro perimetro…).
Questo, per me, è il più grave dei problemi: girarsi dall’altra parte, fingendo che non esiste, rappresenta un atto di grave superficialità (direi: di irresponsabilità). La migliore legge del mondo, a certe condizioni, non potrà mai funzionare se tutte le figure, sanitarie e non, non seguono prioritariamente un serio programma di formazione di base e, man mano, di aggiornamento ed approfondimento.
Quanto costa realizzare un programma con l’obiettivo che ho enunciato? Io credo che in una regione come il Piemonte possano bastare 50.000 euro all’anno (bazzecole per un bilancio come quello della Sanità). E tuttavia di fronte al (possibile) pianto greco della miseria è pensabile che si possano coinvolgere anche le fondazioni…
In ogni caso rimane inderogabile la richiesta che i responsabili delle istituzioni assicurino, con delibera, che dal 2015 al… 3000, ogni anno si terranno in regione corsi di formazione a tutti i livelli. E’ necessario che la stessa delibera preveda una sorta di albo dei professionisti dell’autismo, perché chi opera in questo ambito deve essere competente e certificato. Va anche chiesto che gli ECM vengano obbligatoriamente indirizzati sull’autismo: non tutti – è evidente – ma in parte si.
Questa è oggi, a mio parere, la battaglia da combattere e sostenere per i nostri ragazzi, se vogliamo che nei Centri, negli ambulatori, nelle scuole, ci sia qualità.
Bisogna incominciare a razionalizzare i costi in modo da spendere bene i soldi per l’autismo. Se vogliamo risparmiare per investire in progetti è necessario iniziare dalla formazione, così come nella vita si incomincia dalla scuola: se si insegna male una materia, che cosa si semina tra gli allievi?
Ecco perché non possiamo e non dobbiamo chiuderci nella strettoia della legge sull’autismo o avvitarci sull’eterno dibattito legato ai fondi che l’enfant prodige (pensa di esserlo solo lui ma tant’è…), a capo del governo, sottrae al welfare mettendosi sugli attenti di fronte al diktat della finanza, vedi la penosa vicenda del taglio di 100 milioni al già insufficiente Fondo per le non autosufficienze, proposto (e non si sa, alla data in cui scrivo, se destinato a rientrare) nel Disegno di Legge di Stabilità.
Dobbiamo capire che il tema è non tanto (o se si preferisce, non solo) quello di aggiungere soldi al budget per l’autismo (ammesso che ne esista uno), ma razionalizzarli. E sino a quando non ci saranno criteri di selezione e di ammissione basati sulla qualità e sull’idoneità dei servizi erogati non ci potrà mai essere una vera e propria svolta! Come si può pensare che ci si mette a posto la coscienza solo nominando qualche neuropsichiatra o qualche logopedista in più, senza essere sicuri che tali figure sono effettivamente preparate?
Non serve a nulla aprire Centri fintamente dedicati all’autismo. Non risolvono la situazione… tutt’altro. Eppure i soldi in passato, a questi Centri, sono stati stanziati e tuttora erogati… (almeno 5.000 euro al mese per ogni ospite autistico. Almeno CINQUEMILA!) I nostri figli ne hanno avuto qualche beneficio? Non mi pare proprio, però nessuno si chiede perché…
Se ancora non si è capito diciamo forte che la ragione di tali fallimenti sta tutta nel fatto che né la direzione scientifica (se esiste) né gli operatori sono preparati ad affrontare l’autismo e a proporre percorsi di abilitazione ed educazione efficaci.
Formazione, età adulta e, mi si consenta di aggiungere, diagnosi precoce sono le vere priorità. “Non arRENZIamoci” davanti alle difficoltà, ma portiamo avanti con orgoglio questa difficile lotta in difesa della dignità dei nostri figli. Per affermare le ragioni del loro presente e del loro futuro!