Parla il responsabile Renzo Andrich: “Una realtà che non è messa a sistema come dovrebbe. C è ancora tanta strada da fare, specie sulla normativa e sulla formazione dei terapisti. Poi servono ingegneri per studiare, ad esempio, le modalità alternative di usare un pc non avendo le mani, o la domotica”.
ROMA. Oltre trent’anni fa la Fondazione don Gnocchi, muovendosi anche in maniera pionieristica, ha iniziato a confrontarsi con il tema degli ausili tecnici per l’autonomia delle persone disabili. “In questi anni si parla molto di tecnologie che fanno scalpore, dai robot agli strumenti per la comunicazione tramite gli occhi, ma dietro c’è tutto un mondo di ausili meno mediatici ma di grande importanza sia a casa sia per l’adattamento della postazione di lavoro”: a parlare è l’ingegner Renzo Andrich, responsabile del settore Ausili della Fondazione Don Gnocchi.
Il settore in Italia vive delle criticità?
Sì, è un mondo che ancora ha delle criticità come quella della normativa: il Servizio sanitario nazionale fornisce tutta una serie di ausili, ma il nomenclatore tariffario risale a 15 anni fa.
Perché?
C’è un motivo intrinseco: il rinnovo del nomenclatore è andato ad impattare contro la modifica del titolo V della Costituzione, poi ci fu un tentativo del ministro Livia Turco nel 2008, poi il nuovo governo bloccò tutto di nuovo sospettando che non ci fosse copertura economica. Un’altra criticità è che in molte zone d’Italia operatori e fisioterapisti conoscono poco gli ausili e quindi non li propongono. Poi c’è un mondo di piccole e media aziende che non possono permettersi ricerca e sviluppo.
La Fondazione Don Gnocchi da oltre 30 anni punta l’attenzione sugli ausili.
Sì, ci siamo mossi un po’ da pionieri trent’anni fa. Si creò un centro di ricerca bio-ingegneristica con il Politecnico che ebbe vita fino al 2002, per venticinque anni. Focalizziamo soprattutto sugli ausili medici, ma forniamo anche un servizio di informazione attraverso il portale Siva, portale italiano di informazione, guida e orientamento sugli ausili tecnici per l’autonomia, la qualità di vita e la partecipazione delle persone con disabilità: lì viene fatto il punto su ciò che esiste e vengono presentate le diverse possibilità agli utenti. Il portale offre una panoramica completa, sistematica, aggiornata delle tecnologie assistive disponibili in Italia e in Europa, ed è al servizio di chiunque – utente, operatore, ricercatore – desideri approfondire il mondo degli ausili. Al nostro attivo abbiamo anche tanta formazione effettuata sul tema degli ausili”. Più tardi, nel 1996, è nato il Glic, una rete italiana dei centri di consulenza sugli ausili informatici ed elettronici per disabili: sono una ventina i centri italiani di che vi partecipano e collaborano in un Gruppo di lavoro interregionale (Glic appunto). Si tratta di realtà stabili, pubbliche o private, senza fini commerciali, che hanno avviato un confronto tecnico-scientifico e una collaborazione permanente. I Centri del Glic, pur presentando alcune diversità a livello dei settori specifici di interesse o della tipologia di utenza, hanno in comune l’erogazione a diversi livelli di prestazioni come informazione, consulenza, supporto, formazione/ricerca e sono dotati di una équipe di lavoro e di un parco di ausili e soluzioni. L’idea alla base della collaborazione fra i centri è che sia oggi necessario ed urgente creare i presupposti per una ricaduta concreta del progresso tecnologico sulla qualità della vita delle persone disabili: poiché le tecnologie sono disponibili, occorre passare da una fase di sperimentazione ad una fase di potenziamento e gestione delle risorse, operando per una reale fruibilità di strumentazioni e servizi. L’obiettivo, quindi, è quello di mettere a disposizione le reciproche conoscenze per elaborare strumenti e proposte a favore di un reale sviluppo dell’intero settore degli ausili informatici ed elettronici, a fronte dell’aumento di aspettative e richieste di servizio delle persone disabili.
Insomma, da trent’anni a oggi un’evoluzione è avvenuta…
E’ un’evoluzione interessante, ma c‘è ancora tanta strada da fare, specie sulla normativa e sulla formazione dei terapisti occupazionali, che mirano, con il loro lavoro, all’autonomia della persona. Mancano talvolta le conoscenze relative allo sviluppo della tecnologia. Poi servono ingegneri per studiare, ad esempio, le modalità alternative di usare un pc non avendo le mani, o la domotica. Io penso che la realtà degli ausili non è messa a sistema come dovrebbe. Ci sono esempi positivi, ma pochi: per esempio in Emilia Romagna l’Aias di Bologna ha creato l’ausilioteca, perché lì il tessuto culturale era preposto.
Cosa trova, oggi, una persona che cerca informazioni e aiuto all’autonomia presso la Fondazione Don Gnocchi?
Oltre alle informazioni che può ricavare dal portale Siva, la persona interessata prende appuntamento per una valutazione (lo può avere sia come Ssn con impegnativa sia in modo privato). Noi forniamo consulenza, diamo una relazione su cosa occorre fare o acquistare, configuriamo l’ausilio (che l’utente si è procurato tramite aziende esterne) e lo facciamo provare. Per l’addestramento all’uso può ricontattarci. A volte l’ausilio dà luogo a un programma di riabilitazione e training per apprendere il suo utilizzo corretto.
Quante persone si sono rivolte al centro ausili Don Gnocchi? Con quali patologie?In trent’anni più di 20 mila persone. Ma spesso il discorso è così inserito dentro il percorso riabilitativo che non è facile fare conteggi perché non è facile fare distinzioni. La Fondazione tratta persone ad elevata complessità, il 70% delle quali ha bisogno di ausili. Trattiamo soprattutto persone con patologie neurologiche come la sclerosi multipla, la Sla, la distrofia muscolare o vascolari come ictus e paralisi cerebrale infantile. Più in generale, come Don Gnocchi abbiamo 28 centri in giro per l‘Italia, dove tutte le patologie sono trattate.