Si avvicina a grandi passi il 2 Aprile, giornata mondiale della consapevolezza dell’autismo, sancita dalle Nazioni Unite con la risoluzione 62/139 del 18 dicembre 2007. Per provare ad approfondirne alcuni significati può essere interessante tornare su una questione molto dibattuta nelle ultime settimane, il cui abbrivio è stato offerto da uno scarno comunicato di Angsa Nazionale, indirizzato alle sedi provinciali e regionali. Vi si legge:
“[…] La giornata conclusiva di sabato 2 Aprile vedrà tutti i programmi Rai impegnati ad ospitare interventi di esperti e collegamenti con le piazze. All’interno dei programmi della giornata di sabato saranno previsti spazi per lanciare storie di casi di autismo che devono richiamare un interesse generale e per specifica richiesta Rai devono essere casi positivi di una buona prassi, di un successo, di un buon esempio, di buona gestione o di buona amministrazione […].
Dico subito che non condivido affatto la scelta di Angsa di aderire a questa soluzione. La giudico sbagliata e al contempo azzardata, perché una grave e complessa emergenza sociale, quale sicuramente è l’autismo, non può venire ridotta a pura vetrina mediatica di (sole) buone prassi, per giunta con l’avallo di un’associazione che per essere numericamente la più rappresentativa dovrebbe avere la funzione di raccontare non tanto ciò che fa piacere a viale Mazzini quanto, e solo, la realtà che è sotto gli occhi di tutti.
Porsi in una condizione di sostanziale subalternità; sottostare al diktat della Rai, garantendole addirittura l’ultima parola in merito alla scelta delle storie da raccontare, senza valutare l’opportunità (meglio sarebbe dire la necessità) di un valido contrappeso tecnico – scientifico, è un’operazione avventata che rischia di danneggiare pesantemente la stragrande maggioranza delle famiglie, dando dell’autismo un’immagine molto diversa da ciò che effettivamente è.
I familiari di soggetti autistici conoscono bene quanto difficile è la loro esistenza e quanto sia vissuta, molto spesso, nell’abbandono e nella solitudine. In vaste zone (ho detto “vaste”) del territorio nazionale non si sa neanche come rispondere ai bisogni primari dei bambini, degli adolescenti e degli adulti con autismo. La scuola, al di là del consueto battage pubblicitario, non è affatto così “buona” e inclusiva come viene descritta, non solo perché mancano insegnanti e dirigenti formati ma soprattutto perché difetta di un progetto strategico in grado di farsi realmente carico di un handicap speciale come l’autismo. Molti centri diurni e comunità residenziali non funzionano a causa dei continui tagli di risorse e della cronica mancanza di formazione, che rendono pressoché impossibile la realizzazione di un serio approccio abilitativo. Le condizioni di vita degli adulti autistici rimangono drammatiche: dimenticati e pesantemente sedati in quelli che non di rado sono contesti di marcata impronta psichiatrica, a fronte d rette mensili di 5 – 6000 euro che dovrebbero garantire ben altro e nel silenzio colpevole degli enti erogatori che non si pongano minimamente l’esigenza di ridiscutere e/o annullare i protocolli sottoscritti. Non è affatto inusuale che i genitori, quanto meno quelli che possono, siano costretti ad accollarsi le spese delle cure necessarie ai loro figli. I Lea restano a volte inapplicati perché le regioni non sempre assolvono al dovere di darvi attuazione: ciò fa sì che diritti esigibili diventino tali solo a prezzo di sfibranti battaglie personali. Arrivano di continuo notizie di maltrattamenti e vessazioni consumate sulla pelle dei disabili, anche persone autistiche, senza che ancora sia sancito l’obbligo, per le strutture sanitarie e socio sanitarie, di dotarsi di telecamere e/o altri supporti di controllo. Potrei continuare…
“Questo” racconto la dice tutta su cosa (non) è successo negli ultimi dodici mesi, al di là delle promozioni autoreferenziali, delle parate propagandistiche e dell’enfasi legate all’approvazione di leggi e altri provvedimenti, che nella sostanza non hanno modificato per niente la difficile condizione di tantissime famiglie. “Questo” è oggi l’autismo o se si preferisce anche questo è l’autismo.
Negarlo o edulcorarlo è un’operazione di cosmesi che non giova a nessuno. L’Italia non finisce certamente con poche esperienze virtuose vissute a macchia di leopardo ma è una realtà ben più articolata ed eterogenea, che è giusto rappresentare, con realismo, nella sua interezza e non in modo parziale e incompleto.
E’ innegabile che esempi di “buone” prassi, come ho appena finito di scrivere, esistano, e personalmente non trovo affatto disdicevole presentarle, ma accanto ad esse possono e devono trovare ascolto, con l’obiettivo di superarle, le tante “pessime” pratiche con le quali le famiglie convivono quotidianamente.
Il fatto che molte volte non si rientri tra i “casi positivi di una buona prassi, di un successo, di un buon esempio, di buona gestione o di buona amministrazione” (ripropongo la sdolcinata litania della Rai) sottintende che non si è stati “buoni genitori” o piuttosto, come io penso, che siamo in presenza di pesanti responsabilità delle istituzioni locali e nazionali, nonché dei servizi territoriali, che le associazioni non hanno il coraggio di denunciare in tutte le sedi, a cominciare da quelle legali? Impossibile non sciogliere questi nodi.
Diventa allora importante presidiare le piazze, e perché no? avviare un serio confronto sulla rete, facendosi promotori di una “corretta e completa” informazione, senza cedere a veti o ammiccamenti, siano essi della Rai o del solito sottosegretario, magari presente – questa volta – nella veste inedita di vedetta di un partito a caccia di voti per le prossime elezioni amministrative.
Non nego che possa essere bello per la Rai (ma anche per il governo, che si accrediterebbe come spesso gli accade di meriti inesistenti) parlare di autistici alti, biondi e, perché no? con gli occhi azzurri; che vanno a scuola da soli in bicicletta; che conseguono un brillante curriculum scolastico; che intraprendono positive esperienze lavorative; che sono inseriti in comunità attrezzate…
Siamo sicuri che sia onesto intellettualmente presentare in questo modo la realtà? Perché nascondere tutto il resto? Perché, cito solo un esempio, far calare una incomprensibile cortina di silenzio sulla grave estromissione sociale che subiscono quelle forme di autismo associate a un ritardo mentale grave? Perché non mostrare “anche” queste storie, visto che nell’autismo severo (la Rai se ne faccia una ragione) non c’è nulla di sereno e felice, come possono ben testimoniare tante famiglie chiamate a farsene carico unilateralmente, alla faccia della cosiddetta inclusione di cui blaterano a giorni alterni certi professoroni?
Pensavamo che i tempi di Rain Man fossero finiti: siamo stati troppo ottimisti se la direzione verso cui si marcia è quella di presentare unicamente storie che non diano l’idea che in Italia l’autismo sia un problema. Nelle ultime settimane, a fronte delle legittime perplessità e dissociazioni suscitate dalla decisione di Angsa, ci si è spinti fino al punto di enunciare improponibili irrispettose classificazioni tra disfattisti e ottimisti, tra sfigati e benpensanti, senza minimamente preoccuparsi di entrare nel merito del problema, e di conseguenza senza capire che esso è assolutamente altro rispetto al solito provincialismo nostrano che porta ognuno a schierarsi solo in base ad appartenenze precostituite o ad ideologismi di maniera. Si è messo in campo un improvvido e imbarazzante modello di comunicazione che va rifondato dalle fondamenta perché, basandosi unicamente sulla scomunica pregiudiziale di ogni critica, non sta letteralmente in piedi!
La vicenda Rai- Angsa è stata, in ogni caso, l’occasione per rendere pubblico un malessere che sarebbe riduttivo sottovalutare, emerso perché ancora una volta sono mancati la discussione e il coinvolgimento delle famiglie, cioè degli attori principali che un’associazione dovrebbe rappresentare: non è poca cosa.
Il 2 Aprile non può esaurirsi con il racconto rococò di un autismo che non c’è o che, se c’è, non rappresenta affatto la maggioranza delle situazioni che vivono i nostri figli.
Si sottolineino le eccellenze laddove sono presenti, ma – lo ripeto per l’ennesima volta – si parli anche delle cose che non ci sono, di quelle che ci sono ma non funzionano o funzionano solo in parte, delle tante, troppe, emergenze che continuano ad affollare questa complessa disabilità.
Parliamone insomma a tutto campo, dando la parola non solo ai soliti presidenti di associazioni e fondazioni ma a facce nuove e soprattutto ad autistici in carne e ossa, in modo che la gente possa vederli mentre, con lo sguardo perso nel vuoto, strillano, saltellano, sfarfallano, caracollano, farfugliano, tirano su col naso, si dimenano. Chi accende la televisione ha il diritto di vedere e sentire anche queste cose e non solo le spocchie di quanti pretendono di raccontare storie la cui completezza somiglia da vicino a quella di un libro al quale sono state strappate le pagine pari o quelle dispari!
Prima di avviarmi alla conclusione mi sia consentita una breve digressione sullo spot messo in campo dalla Rai in occasione della giornata mondiale della consapevolezza sull’autismo. Girato dodici mesi fa e ora riesumato, è a mio giudizio altamente fuorviante, offensivo, tale da suscitare profonda indignazione. Indigna perché ai genitori, e alle madri in particolare, non può essere ricordato che nella battaglia contro l’autismo “devono metterci il cuore”: è quello che hanno sempre fatto, fino allo sfinimento, spesso in completa solitudine e tra l’indifferenza generale.
Stupidi stereotipi, che continuano ad associare l’autismo a una bolla, non solo non spiegano correttamente la patologia ma ne rendono ancora più confusa la comprensione, resuscitando interpretazioni e luoghi comuni, a partire dalla madre frigorifero, il cui fondamento è stato dimostrato essere pari a zero. L’unica bolla di cui occorre acquisire consapevolezza è quella creata dall’ignoranza, e bene farebbero tutti gli ignoranti – comunque camuffati – a non dimenticarlo!
Alla luce di queste considerazioni io credo, dunque, che il significato vero del 2 Aprile debba essere solo e unicamente quello di aprire una seria riflessione intorno alle problematiche richiamate, perché al di là dei simboli, delle luci e dei selfie con l’assessore o l’onorevole in cerca di pubblicità, il giorno dopo sappiamo bene che resteranno sul tappeto solo le condizioni drammatiche e le sofferenze di centinaia di migliaia di famiglie.
E’ a queste ultime che occorre, a tutti i costi, dare risposta. Con fatti concreti e non con le promesse di una classe politica che fa dell’arroganza e dell’ignoranza il suo copyright. Con gli impegni mantenuti e non con le lusinghe. Con il protagonismo e la voglia di contare, e non con le sterili mediazioni al ribasso, affidate a tavoli inconcludenti, che offendono ogni giorno la nostra dignità e quella dei nostri figli.
SUI DIRITTI NON PUO’ E NON DEVE ESSERCI TRATTATIVA! Vale per il 2 aprile e vale soprattutto nei restanti 364 giorni dell’anno!
Gianfranco Vitale