‘Autismo. L’individuazione precoce’ è una ricerca realizzata a Roma tra febbraio 2011 e il giugno scorso che ha conivolto più di 70 tra asili nido e scuole dell’infanzia. In tutto monitorati 2.700 bambini. Fondamentale l’apporto degli insegnanti in collaborazione con i pediatri. Ecco i risultati.
Individuare l’autismo quando il disturbo non si è ancora radicato. Sensibilizzare gli educatori e gli insegnanti nel riconoscere i bambini a rischio e formare i pediatri per una diagnosi precoce, perché “scoprirlo prima permette di trattarlo meglio e con terapie mirate, migliorando così la qualità di vita dei bambini autistici e delle loro famiglie”. Questo l’obiettivo del progetto ‘Autismo. L’individuazione precoce’ promosso, tra febbraio 2011 e giugno 2012, dall’Istituto di Ortofonologia (Ido) in 74 strutture tra asili nido e scuole dell’infanzia del Comune di Roma.
In particolare, l’ultima fase del progetto ha preso in considerazione in particolar modo 27 nidi e scuole dell’Infanzia del IV Municipio di Roma per un totale di 638 educatori/insegnanti coinvolti, 52 pediatri e 2.700 bambini.
In tutto, quindi, sono stati raccolti 2.700 questionari, compilati dalle insegnanti sulla base dell’osservazione attenta dei bambini compresi nella fascia di età 0-6 anni. “L’attività formativa nelle scuole- hanno chiarito le operatrici IdO che hanno preso parte al progetto- ha puntato a rendere l’educatore/docente maggiormente cosciente del proprio ruolo e sensibile al problema. Nel caso in cui, infatti, è emersa una ipotesi avvalorata di questo disturbo, gli stessi educatori/docenti, in accordo con la famiglia, sono stati in grado di inviare il bambino dal pediatra per un approfondimento clinico”.
Dalla valutazione di tutti i questionari è emerso che 180 bambini devono continuare ad essere monitorati pur essendo in assenza di autismo, 55 soggetti devono essere sottoposti ad un approfondimento diagnostico, mentre 16 bambini sono risultati con diagnosi di disturbo dello spettro autistico. La percentuale di bambini a rischio di autismo in Italia di 1 su 180, resa nota dall’IdO lo scorso autunno, è stata quindi riconfermata da questi dati.
“L’autismo – ricorda l’Ido – è un disturbo di cui attualmente l’eziologia non è nota, i sintomi sono rilevabili entro il secondo/terzo anno di vita e si manifestano con gravi alterazioni nelle aree della comunicazione verbale e non verbale e dell’interazione sociale. Le recenti ricerche hanno evidenziato in maniera inequivocabile la fondamentale importanza della diagnosi precoce, prima del 3° anno di vita. L’IdO, centro accreditato dal Servizio sanitario nazionale di diagnosi e terapia per l’età evolutiva e operativo da oltre 40 anni, dopo aver lanciato lo scorso novembre l’allarme sull’incremento dello 0,6% della sindrome in 10 anni, passando da 1 bambino su 1.000 a 7 bambini su 1.000 (ovvero 1 bambino su 180, appunto), ha realizzato lo scorso anno un progetto formativo e informativo, in 74 nidi e scuole d’infanzia di Roma e provincia, per coinvolgere direttamente la
triade scuola-famiglia-pediatri (ognuno secondo il proprio ruolo) al fine di creare un ‘filtro’ iniziale che consentisse l’individuazione precoce dei soggetti a rischio di autismo”. Perché “il tempismo di una diagnosi è cruciale, considerando che un progetto terapeutico efficace può aver luogo solo dopo un accertamento tempestivo”, ha affermato il direttore dell’IdO Federico Bianchi di Castelbianco.
La formazione degli educatori/insegnanti “si è inserita come momento iniziale del progetto- ha precisato lo psicoterapeuta- in quanto gli operatori dell’infanzia sono i primi referenti per le difficoltà di relazione e socializzazione dei bambini e la loro competenza rappresenta un’importante risorsa nella società”. Agli educatori sono stati forniti, nel corso dei 16 mesi, gli strumenti “necessari per il riconoscimento dei comportamenti a rischio da segnalare ai pediatri: protocolli di screening, sistemi di rilevazione delle problematiche, corsi di aggiornamento sul disturbo e seminari monotematici attraverso incontri di focus-group”.
I pediatri invece “hanno seguito un corso di aggiornamento per la conoscenza e l’uso di questionari standardizzati e test- ha concluso Castelbianco- necessari per la rilevazione dei comportamenti legati a questa patologia”.