Considerato il delicato periodo che stiamo attraversando, AlberoBlu, (visita il sito www.alberoblu.it), ha pensato di fornire alle famiglie di bambini con autismo alcuni semplici strumenti che possano supportare loro nell’affrontare queste giornate .
Vogliamo iniziare con 2 files:
La storia sociale “Tutti a casa!” , dedicata ai più grandicelli e per i più competenti, per spiegare cosa sta accadendo in queste giornate e quali sono i comportamenti adeguati da adottare.Scarica la storia sociale Tutti a casa!
Una tabella di CAA (Comunicazione Aumentativa Alternativa) con alcune regole da seguire.
tabella CAA Tutti a casa!Nelle tabelle di CAA troverete alcuni spazi vuoti con su scritto l’immagine da inserire. Se non avete il simbolo o l’immagine da utilizzare, basta fare una foto
e attaccarla nell’apposito spazio.
Buone attività e a presto con il prossimo strumento!
di Gianfranco Vitale (Padre di un Uomo autistico adulto) https://www.facebook.com/autismoIN/
Chiamare “speciali” le persone autistiche è espressione di un linguaggio irreale, prima ancora che ambiguo. È una delle tante etichette che vengono appiccicate agli autistici, incuranti del rischio di seminare confusione e banalizzare una realtà che, al contrario, è molto complicata, visto che l’autismo altro non è che l’abisso esistente tra una vita normale e un’esistenza profondamente e (spesso) drammaticamente “altra”.
Dire mio figlio è speciale confonde e non aiuta a capire nulla di questo abisso. È una chiave, bella e luccicante finché si vuole, che però non gira nel buco della serratura. Dire più “semplicemente” mio figlio è autistico, senza inutili aggettivazioni,significa prendere in mano una chiave piccola, un po’ arrugginita, ma capace di aprire una porta che svela un mondo, affascinante nella sua complessità, che la gente non conosce e ha voglia di approcciare.
Il genere fiabesco, tanto caro a molti, non si ferma certo alla sublimazione dei figli “speciali”… Quante volte ci capita di ascoltare frasi, tipo “c’è di peggio” (come se non lo sapessimo…) o vedere persino tirati in ballo i santi e il volere di Dio. “Dio l’ha mandato a te perché sapeva che potevi affrontare questa prova”: bisogna smetterla di fare affermazioni così sciocche (lo dico con rispetto verso chi crede). Provate voi cosa significa per un genitore rimanere sveglio per mesi, in piena notte, con un figlio in crisi che non si sa come consolare; andate voi alle riunioni di scuola a spiegare che avete un figlio autistico che non può contare su un insegnante di sostegno formato per questo tipo di disabilità; attraversate voi la strada con un figlio che all’improvviso decide di sdraiarsi sulle strisce pedonali…
Anziché fare ipocriti richiami religiosi indossate per un po’ i nostri panni, vivete le giornate che rappresentano lo standard di tante mamme e papà con figli autistici gravi o gravissimi, e poi ne riparliamo. Poi vediamo se è il caso che Dio venga a risolvere i problemi o se, piuttosto, non rimane che a noi provare a farlo, rimboccandoci le maniche e lottando ogni giorno fino allo stremo delle forze.
In questo bizzarro caleidoscopio di voci impazzite c’è chi si spinge addirittura a parlare di dono (salvo spaventarsi e darsela precipitosamente a gambe quando vede un autistico in carne ed ossa…). Sappiano, questi bacchettoni da salotto, che gli regalo volentieri il dono dell’autismo, si faccia avanti chi lo vuole! Mio figlio Gabriele è sicuramente la persona che amo di più ma non sono affatto innamorato e orgoglioso del suo autismo, del quale farei (e lo farebbe anche lui) molto volentieri a meno se solo potessi. Altro che autistic pride!
L’autismo non è solo una neurodiversità, già di per sé capace di limitare fortemente l’apprendimento anche di semplici abilità… Nelle forme più regressive non va dimenticato che presenta comorbidità, gravi compromissioni, ritardi, manifestazioni auto-etero lesionistiche, etc.
A scanso di equivoci: non sto affermando che l’autismo è una malattia, né sto asserendo il contrario. Dico solo che non basta scrivere che certe gravi e gravissime implicazioni cliniche e comportamentali “vanno affrontate”, anziché curate, per rendere la vita di un genitore, e di suo figlio, meno pesante.
Cosa dire, poi, della retorica legata ad espressioni tipo “vedrai che con le terapie andrà tutto bene”… A quanti pronunciano queste ed altre idiozie sfugge, per cominciare, un dato fondamentale: l’autismo non abbandona chi ce l’ha, né esiste un farmaco ad hoc per contrastarlo. La terapia, per i genitori, significa portare avanti un impegno quotidiano, durissimo, per 24 ore su 24. Per noi la terapia è imparare a comunicare diversamente, è educare diversamente, è insegnare diversamente, è rapportarsi con il mondo diversamente. Facile, no?
Siamo stremati dal sistema assurdo di burocrazia e incompetenza che ruota intorno all’autismo. Siamo esausti di dover lottare ogni giorno contro l’ignoranza e i pregiudizi, contro le istituzioni che dovrebbero tenderci una mano e la maggior parte delle volte ci prendono a calci in …, rendendoci la vita ancora più difficile. Siamo contro il business di (im)prenditori e personaggi vari, che grazie all’autismo hanno costruito fortune, carriere e patrimoni.
È per questo che certe parole edulcorate e certe frasi retoriche ci arrivano come schiaffi in faccia. Non hanno senso, né ne hanno i racconti di un autismo barocco e fantastico che esiste solo nell’immaginario di pochi. L’autismo o si racconta bene (tutto) o, se lo si fa solo in parte, si rischia di emarginare ulteriormente chi lo è già. Penso alle pesanti ripercussioni psicologiche subite da tanti genitori con figli autistici gravi, che davanti a un tam tam costruito quasi ad arte si sentono inadeguati, frustrati, incapaci, perché i loro figli, a fronte di tanti sacrifici, non potranno mai accedere a un certo genere di opportunità. E d’altra parte né i Servizi (fantasma) né le Istituzioni (che fanno a gara per defilarsi), lavorano sul territorio per costruire qualcosa che vagamente e lontanamente somigli ad un’opportunità!
In molte zone del Paese non è possibile ricevere una diagnosi. Non esiste una presa in carico globale ed interdisciplinare, non esistono strutture socio–sanitarie convenzionate per la terapia ABA. Non ci sono percorsi ospedalieri di cura dedicati ed assistiti, che si richiamano alla rete DAMA. La scuola è troppo spesso inadeguata, la formazione di Educatori – Mediatori Neuro-culturali – Assistenti – Tutor – è estremamente carente. I bandi per il fondo per la non autosufficienza sono bloccati, il “dopo di noi” è uno slogan. Dopo i 18 anni, e la fine del percorso scolastico, i nostri ragazzi diventano fantasmi, soggetti “inutili” da consegnare alla psichiatria e/o “appaltare” a strutture residenziali che non di rado si rivelano luoghi segreganti e lesivi della dignità individuale (eppure le cooperative che le gestiscono percepiscono una somma che varia da 200 a 350 euro al giorno a seconda dell’intensità assistenziale necessaria!). La legge sul “progetto di vita” e il budget di cura è una farsa; il lavoro un’utopia; i caregivers traditi, sfruttati e umiliati. La verità è questa, altro che l’autismo fiabesco di cui si fantastica!
I genitori vengono lasciati soli, i figli – privi di un serio percorso abilitativo – sono inevitabilmente destinati a diventare esclusi, frastornati, smarriti. Si dirà: al mondo, però, ci sono anche autistici che scrivono libri, suonano, ballano, compongono poesie, parlano correttamente due lingue, girano in moto, relazionano in convegni prestigiosi, si sposano, guidano la macchina, lavorano…
È vero, ma non si può fingere che intorno a noi c’è tanto altro, e per nulla accattivante.Ci sono genitori che piangono per la felicità non di sentire parlare il proprio figlio in inglese e spagnolo ma perché, dopo mille tentativi, si sentono chiamare maaa-mma o paaa-pà da un uomo di trenta o quarant’anni! C’è una miriade di cose che moltissime persone autistiche non possono nemmeno immaginare, figuriamoci se è data loro la possibilità di realizzarle… Tutto questo non le rende affatto speciali ma, in compenso, rende “specialmente e vergognosamente incivile” un Paese come il nostro, che poco o nulla investe sull’autismo!
Io e Gabriele siamo un padre e un figlio come tanti, non abbiamo e non vogliamo avere nulla di speciale. Cerchiamo le parole che effettivamente descrivono la realtà, provando a chiamare le cose col loro nome, perché sentiamo di non volerci prendere in giro e in giro non vogliamo prendere nessuno. Per noi Il politically correct non esiste, le priorità e i bisogni sono altri.
Proviamo a chiarire a tutti, – senza inibizioni o ventilati “orgogli” – quali sono le necessità reali di una persona autistica, quali i suoi limiti, quali le sue difficoltà. Per noi “Autismo” è il passpartout di una conoscenza che occorre cominciare a trasmettere già ai più piccoli, perché – ne siamo certi – nella loro carriera scolastica avranno sempre un bimbo o un adolescente diverso seduto al banco accanto. Diverso, non speciale.
Accettiamo, fino in fondo, l’imperfetta unicità con cui la disabilità ci chiede di misurarci. Crediamo che ’’L’amore vince su tutto”, altra frase sgangherata che ascoltiamo spesso, potrebbe tranquillamente essere il titolo di una fiction bellissima che però non ci azzecca nulla con la trama che va in scena ogni giorno nelle case di molte delle seicentomila famiglie che, direttamente o indirettamente, convivono con l’autismo.
È ovvio che come ogni genitore amiamo fino alla follia i nostri figli (non c’è bisogno che siano autistici per farlo) ma sappiamo che la risposta al male devastante che l’autismo produce può arrivare solo dalla formazione, dall’inclusione e soprattutto dalla ricerca.
Opportunamente si sottolinea, ogni volta, la crescente importanza che (anche) in questo campo assume la comunicazione. Non può esserci un’informazione corretta che non metta al centro della discussione la verità e l’esigenza di raccontarla in modo obiettivo. Se si accetta questa pregiudiziale diventa impossibile “dimenticare” – da una parte – che l’autismo severo, di livello 3, rappresenta una condizione estremamente diversa dall’autismo lieve che rientra nel livello 1 (nonché da quello medio che appartiene al livello 2) e – dall’altra – che gli autistici gravi e gravissimi sono numericamente tanti.[1] Non mi vergogno di confessare il timore, per altro largamente condiviso, di un possibile futuro sconfinamento coatto di queste persone verso… ambiti impropri (vogliamo dire manicomiali?), essendo altissimo il rischio di sviluppare patologie psichiatriche con l’avanzare dell’età, in mancanza di serie politiche di approccio clinico e cognitivo comportamentale.
Non saranno gli scongiuri ad allontanare questo scenario ma solo (e unicamente) la lotta per il riconoscimento di quei diritti primari che ogni giorno sono impunemente e brutalmente calpestati e negati.
A tutti, proprio tutti, deve essere garantito il pieno diritto ad apprendere, ad agire, partecipare, decidere: in una sola parola a pensare e gioire della vita.
[1] Oggi, negli USA. Paese che precede l’Italia di diversi anni, i dati del 2020 riferiscono che il rapporto è di 2/3 di livello 1 contro 1/3 dei livelli 2 e 3). Ringrazio il Prof. Carlo Hanau per la gentile collaborazione.
“CamminAutismo” è un progetto promosso dall’Associazione Mulino Sambuy di San Mauro Torinese, i protagonisti sono 13 giovani con autismo, 31 persone, tra volontari, professionisti e familiari, che provengono da vari enti.
Dal 5 al 12 settembre hanno percorso gli ultimi 114 chilometri del famoso Cammino di Santiago in Spagna. Tutto questo per sensibilizzare sui problemi dell’autismo e aprire la strada all’autonomia di vita attraverso una formazione specifica.
Il progetto si chiama CamminAutismo ed è promosso dall’Associazione Mulino Sambuy di San Mauro Torinese (Torino) e vede la partecipazione di 13 giovani con autismo, provenienti da diverse altre associazioni, volontari e specialisti. 31 persone hanno accompagnato l’attività, tra cui e la sua famiglia partiti il 5 settembre, dalla città spagnola di Sarria, per percorrere in sei giorni gli ultimi 114 chilometri del famoso Cammino di Santiago de Compostela, arrivando nella capitale della Galizia il 12 settembre.
Oltre a pubblicizzare il problema dell’autismo, l’obiettivo è creare un percorso di autonomia nella vita. Durante il percorso, infatti, i giovani hanno avuto una formazione specifica affrontando situazioni del tutto nuove.
«Il progetto è stato avviato dal basso dal coordinatore Graziano Romagistro, educatore professionale, che spiega di essere direttamente coinvolto nelle tante associazioni che esistono nella regione. Ed è il vero coinvolgimento di tutto questo, il loro tremendo entusiasmo che alla fine ha reso possibile tutto questo. È un progetto prezioso per i giovani che hanno partecipato. Perché lo rende davvero possibile.
Infine, saranno in grado di “generalizzare” il loro apprendimento in un contesto esterno. E’ attingendo alle risorse che la società mette a disposizione che la riabilitazione diventa un vero e proprio diritto. Quindi, sebbene non fosse una vacanza di una settimana, alcuni degli allenamenti più lunghi sono già iniziati nell’aprile dello scorso anno, con i ragazzi e le ragazze che hanno partecipato a sessioni di allenamento specifiche.
Una volta completo il cammino, ci sarà un recupero significativo che può utilizzare prove scientifiche per mostrare quanto bene questo tipo di iniziativa possa raggiungere i suoi obiettivi specifici.
Una maggiore e più profonda inclusione delle persone con disturbi dello spettro autistico. Patrocinata da Regione Piemonte, Città Metropolitana di Torino, ASL Città di Torino, To4, San Mauro Torinese, Settimo Torinese e Castiglione Torinese, l’iniziativa comprende l’Associazione Ri-Ciclistica Settimese, UISP Federazione Italiana Sport Piemonte), ANGSA di Torino (Associazione Nazionale Genitori di Persone con Autismo), insieme per vincere gli amici delle cooperative F.I.ABA e Animazione Valdocco della Spezia, e di Cinzia ONLUS. Nel corso degli anni, l’Associazione Mulino Sambuy è diventata un centro completo specifico per i bambini nello spettro autistico. Infatti, con i temi dell’autismo, dell’aggregazione e dell’inclusione, si occupa di fornire opportunità alle persone svantaggiate attraverso eventi culturali, in particolare l’agricoltura sociale.
Una troupe di Mediaset delle Iene ha seguito tutto il cammino e ieri martedì 8 novembre 2022 hanno trasmesso il servizio. Hanno fatto parte del team la Iena torinese Luigi Pelazza e Carlotta Bizzarri.
Questa guida professionale propone un metodo di intervento riabilitativo basato su un utilizzo specialistico della musica con bambini e adolescenti con Disturbi dello Spettro Autistico.
Il percorso viene illustrato in modo esaustivo, con riferimenti scientifici approfonditi, schede esplicative ed esempi di caso, e dimostra l’importanza di costruire progetti terapeutici integrati per favorire l’inclusione scolastica e sociale di soggetti con disturbi del neurosviluppo.
Il suono e il ritmo possono attivare nuove risorse di regolazione emotiva anche nelle interazioni più complesse.
Il metodo è stato elaborato presso il Dipartimento di Psicologia e Scienze Cognitive dell’Università di Trento, nel laboratorio ODFLab.
Rivolto principalmente a musicoterapeuti, il volume si rivela molto utile anche per gli insegnanti che abbiano una formazione e interessi specifici sull’argomento.
L’autore
Stefano Cainelli Musicoterapeuta e psicologo, è collaboratore di ODFLab, Laboratorio di Osservazione, Diagnosi, Formazione – Dipartimento di Psicologia e Scienze Cognitive – Università degli Studi di Trento. Dal 2001 opera in ambito riabilitativo-terapeutico nei Disturbi dello Spettro Autistico e del Neurosviluppo.
Si occupa di formazione di educatori e insegnanti ed è consulente nelle scuole per la progettazione di percorsi di inclusione.
Le condizioni di tante persone autistiche adulte, in particolare di quelle che vivono all’interno di RSD (e persino RSA), si sono notevolmente aggravate a causa di molteplici fattori, non tutti riconducibili alle drammatiche conseguenze legate allo scoppio della pandemia da Covid 19. Faccio questa premessa perché la negazione di diritti, a cui i nostri figli sembrano condannati, è ben antecedente all’epidemia.
In molte RSD l’approccio all’autismo ha visto accentuarsi la componente psichiatrica, affidata come sempre ad una deleteria “cura” di matrice farmacologica, che in alcuni momenti, come sanno bene le famiglie, annienta la Persona, riducendola ad una sorta di zombi ai quali si chiede soltanto di eseguire meccanicamente i comandi di un’agenda, peraltro sempre uguale a sé stessa, che qualcuno camuffa addirittura con le parole “strutturazione giornaliera dell’intervento”.
Sono innumerevoli le segnalazioni e le testimonianze di genitori che parlano di una sensibile regressione dei loro figli, persino nel linguaggio, cui – nei rari momenti di rientro a casa o di incontro in comunità – hanno visto fare cose che non erano mai avvenute in passato, non ultima un’accentuata “improvvisa” aggressività.
La componente abilitativa e riabilitativa in questi Centri (ma perché: fuori ciò che accade è così diverso?) è largamente inadeguata e continuerà ad esserlo finché non si capirà che ogni autistico è prima di tutto una Persona che ha una sua individualità. Ciò rende improponibile chiedere a tutti di fare la stessa cosa, di eseguire gli stessi compiti. Questo mesto rituale non aiuta la Persona a capire, a essere più autonoma, partecipare, osservare, coinvolgere, scegliere, agire. Si tratta di un approccio che è la negazione di ciò di cui una persona autistica ha bisogno.
Mentre gli apprendimenti latitano o ristagnano è facile osservare che anche in campo clinico sono presenti elementi di forte criticità. È completamente assente quella presa in carico multidisciplinare di cui gli autistici hanno bisogno.
L’intervento è meramente e desolatamente psichiatrico, come se le persone autistiche fossero in possesso di un solo organo funzionale, il cervello, e pertanto a meritare attenzione dovessero essere unicamente le problematiche legate al disfunzionamento neurologico.
Sappiamo bene che non è così. Tutte le iniziative mediche “esterne”, volte ad indagare le problematiche “altre”, legate per esempio al sistema immunitario, metabolico, ormonale, si devono quasi esclusivamente all’iniziativa dei familiari, e spesso si scontrano con la chiusura ideologica di reti in cui la psichiatria dominante non esita a mettere la sua sterile autoreferenzialità persino davanti all’obiettivo del miglioramento della qualità della vita della Persona.
Si rimane sconcertati e sconvolti dall’agitazione e dall’inquietudine di tanti uomini e donne autistiche, devastati dall’ansia per non potere nemmeno riabbracciare i propri cari. Sono persone distrutte da un regime assurdo di isolamento, che sarebbe più giusto chiamare “segregazione”, che ne cancella giorno dopo giorno l’identità, obbligandole in modo coatto a sopravvivere alla meno peggio.
I responsabili delle RSD si limitano ad applicare burocraticamente un vergognoso protocollo, che brilla solo per la sua ignorante superficialità. Medici e professionisti non si sono mai spinti un passo oltre per denunciare l’insopportabilità di questo assurdo regime di isolamento.
Mai nessuno si è schierato dalla parte di tanti autistici che hanno dovuto, soggiacere, impotenti, a regole così devastanti. Sono stati accettati e fatti propri, in modo del tutto acritico, provvedimenti insulsi, sbagliati e dannosi, in una parola disumani.
Sarebbe ora di parlare di questo fallimento. Sarebbe ora di chiedersi a cosa e a chi è dovuto. Sarebbe ora di riconoscere la lunga sequenza di errori commessi, per conservare e alimentare quanto meno la speranza di ripartire al più presto in modo credibile.
È perciò necessario adoperarsi immediatamente presso le istituzioni per far cessare l’odiosa segregazione a cui persone fragili e fragilissime sono costrette. Si dia loro la possibilità di rientrare a casa senza poi pagarne dazio con provvedimenti insulsi, a partire dal cosiddetto isolamento fiduciario, coatto, di due settimane, che è solo l’ennesima vergognosa discriminazione nei confronti di Persone già così duramente provate dalla vita.
Le Direzioni Scientifiche delle RSD non aspettino, come al solito, la manna dal cielo ma sollecitino una risposta a questo stesso quesito, ricordando ai destinatari che si parla di persone autistiche monitorate e vaccinate.
Si mobilitino le associazioni che in questo periodo hanno brillato soprattutto per il loro silenzio. Abbiano un sussulto di orgoglio che ci permetta di dire che non sono fantasmi. Denuncino “l’imbroglio” di provvedimenti (l’ordinanza del 6 Maggio del ministro Speranza) in cui si legge di riaperture di RSA (e implicitamente di RSD) che sono solo sulla carta. Ripassino, in proposito, un estratto della dichiarazione che ha rilasciato, Sandra Zampa, ex sottosegretaria del ministero della Salute, nel corso di un intervento andato in onda su Agorà, di Rai 3, qualche ora dopo lo scontato battage promozionale dei media avvenuto domenica 7, in occasione – toh guarda che coincidenza – della Festa della Mamma. Uscita strumentale dell’ordinanza proprio in questo giorno? Noooo, assolutamente no! Mai sospettato!
Queste le parole di Sandra Zampa: “Ho lavorato molto sul tema delle RSA e sono molto preoccupata perché in realtà la questione è lontana dall’essere risolta. Tanto che risulta che ci sono ancora sette o otto RSA su 10 che ieri non hanno affatto aperto. Problema che ci dobbiamo porre.
Per la riapertura delle RSA erano state fatte due circolari ministeriali, una a dicembre e una a novembre 2020. Ma non era successo nulla. Sono le regioni che devono far rispettare le circolari ministeriali”.
Per ora possiamo dire che l’ordinanza nazionale (che peraltro assai discutibilmente ribadisce il forte potere discrezionale in capo alle Direzioni socio sanitarie delle strutture) con cui si dovrebbe dovrebbe dar seguito e operatività alla circolare del 30 novembre 2020, è largamente disapplicata e chi non la rende operativa non ne paga, come invece sarebbe doveroso, le conseguenze.
Per parte loro le famiglie devono andare oltre il legittimo comprensibile umano risentimento e attivarsi immediatamente, innanzitutto perché per i propri figli sia approntato e realizzato il progetto individuale di vita fissato dall’articolo 14 della legge 328/00.
È un diritto delle famiglie richiederlo, è un diritto dei figli goderne, è un dovere dei Servizi e delle Istituzioni garantirlo. Senza questa risorsa è forte il timore che anche quando la pandemia sarà finita (Iddio voglia che succeda il prima possibile), gli interventi continueranno ad essere sfilacciati, precari, episodici, velleitari, non continuativi, non rispondenti ai reali bisogni.
Senza un progetto individuale di vita sarà, lo dico con altre parole, inevitabile e irreversibile il declino dei nostri figli.
Non stiamo chiedendo nulla di più e nulla di meno di quanto è loro dovuto. I nostri figli non sono fascicoli polverosi da aprire due volte all’anno ma Persone in carne ed ossa, con diritti e dignità per lo meno uguali a tanti di quelli che dicono di occuparsi di loro. Eh già: “Che dicono”…
Non affrontare operativamente questo tema significa rendere inutile qualsiasi dibattito sul durante e dopo di noi, svuotarlo di ogni significato.
6 INCONTRI ONLINE (PIATTAFORMA ZOOM) (tramite link inviato dal docente)
“UNA FINESTRA SU………… I DISTURBI DELLO SPETTRO AUTISTICO”
PROGRAMMA (moduli di 4 ore o 8 ore):
–Gabriele Baldo (4 ore) – 1° La condizione autistica: panoramica su ciclo di vita, aspetti psicoeducativi e livelli di funzionamento.
– Bert Pichal (8 ore) – 2° La strutturazione degli ambienti e delle attività educative
–Paola Venuti (4 ore) – 3° Comprendere la famiglia di un soggetto con ASD per la progettazione educativa
– Carolina Coco (4 ore) – 4° Comunicazione Aumentativa Alternativa: costruire storie con la CAA
– F. Campanella (4 ore) – 5° Tecniche e metodologie d’intervento CAA e tecnologia ” BLUE”
– Stefano Cainelli (4 ore) – 6° L’utilizzo della musica nelle attività educative. Costruire l’inclusione in gruppo attraverso la musica
MODALITA’ ISCRIZIONE ONLINE: www.odflab.unitn.it TERMINE ISCRIZIONI: entro il 04/02/2021 per il CICLO INTERO e entro le ORE 12.00 del GIOVEDI’ prima delle DATE SINGOLE INFORMAZIONI tramite mail a: diagnostica.funzionale@unitn.it
COSTI: singolo incontro 4 ore euro 40 (esente iva) singolo incontro 8 ore euro 80 (esente iva) iscrizione 6 incontri euro 240 (esente iva)
Oggi, venerdì 2 aprile, è la Giornata mondiale per la consapevolezza sull’autismo 2021. Come sappiamo l’autismo è un disturbo organico che rientra tra le disabilità. Proprio per questo abbiamo chiesto al sito “Statistics and Data” di realizzare un approfondimento sulle spese per disabilità delle singole nazioni.
Siamo partiti da alcune domande. Quali sono le nazioni in Europa che spendono più in disabilità (procapite)? In che posizione è l’Italia rispetto agli altri Paesi Europei? Le nazioni che spendono di più in disabilitàPartiamo con un primo dato. Le nazioni in Europa che spendono di più (per abitanti) per la disabilità, nel 2018, sono Norvegia, Danimarca e Lussemburgo. La Norvegia ha un valore di quasi 3000 euro pro-capite ed è la prima nazione di tutta l’Europa. Al secondo posto troviamo la Danimarca, distanziata di quasi 800 euro e al terzo posto il Lussemburgo che ha un valore leggermente inferiore ai 2000 euro. La media europea dei 27 Paesi UE di questo valore è pari a 565,78 euro. Sono quindi 12 le nazioni che hanno un valore più alto della media tra cui Germania e Francia.
Quanto spende l’Italia per la disabilità E l’Italia in che posizione è e quanto spende per la disabilità? Nel 2018 l’Italia è al quindicesimo posto con una spesa pro-capite di 426,10 euro. Il dato è di quasi 140 euro inferiore rispetto alla media. Per non parlare della distanza rispetto ai primi Paesi come la Norvegia. Rispetto a quest’ultima infatti l’Italia ha un valore decisamente inferiore. In termini assoluti l’Italia è indietro di 2555 euro.
Di seguito si può vedere, nella mappa ad albero, la distribuzione dei valori tra tutte le nazioni.
In occasione della Giornata Mondiale della Consapevolezza dell’Autismo di venerdì 2 aprile, due realtà presenti sul territorio della Vallagarina hanno avviato tra loro una relazione sinergica affinché i ragazzi con disturbo dello spettro autistico possano integrarsi in un ambiente inclusivo e consapevole, unione tra realtà che hanno nell’innovazione un punto cardine.
Needius, giovane società di Rovereto, nata nel 2013 da Nicola Filippi, Jacopo Giovanni Romani e Raffaele Ettrapini, ha come valore quello di individuare e realizzare soluzione tecnologiche innovative per migliorare la qualità della vita delle persone con disturbi del neurosviluppo. La loro attività si sviluppa quotidianamente in tale direzione attraverso l’analisi del bisogno delle persone con bisogni speciali cercando, attraverso la realizzazione di prodotti innovativi, di compensare il divario con le persone neurotipiche, sia dal punto di vista individuale sia da quello sociale, incrementando la possibilità di attuare una vera inclusione sociale delle persone con disabilità. Per inclusione sociale qui si intende la possibilità che viene data a tutte le persone di sentirsi accolti come parte attiva all’interno.
Proprio per tale ragione Needius ha scelto, in occasione della Giornata Mondiale della Consapevolezza Dell’Autismo, di donare due comunicatori Blu(e) alla realtà che, nel territorio della Vallagarina, meglio esprime tale visione: la Cooperativa Sociale Dal Barba. Dal Barba, infatti, è un’innovativa realtà imprenditoriale e sociale che formula i propri progetti e fonda le proprie azioni su un obiettivo: sostenere, attraverso specifici percorsi personalizzati, l’inclusione sociale di giovani con disturbi del neurosviluppo, mediante lo strumento del lavoro. La visione che orienta le attività della Cooperativa è dunque la promozione di una cultura della coesistenza quotidiana, positiva e solidale, nella diversità di caratteristiche di cui ciascuno è portatore.
La scelta di donare i comunicatori ha come fine quello di consentire anche alle persone con difficoltà comunicativa esprimere i propri bisogni e i propri desideri riuscendo così ad incrementare quelle relazioni che si vengono a creare in un contesto così accogliente.
Questa donazione vuole essere solo il primo passo di una collaborazione che vedrà Needius promuovere, attraverso la propria rete vendita, anche la conoscenza della pasta prodotta presso il Laboratorio multifunzionale della Cooperativa Dal Barba. I prodotti, infatti, sono stati preparati mediante il coinvolgimento di giovani con disturbi del neurosviluppo e con ingredienti provenienti da coltivazioni e da lavorazioni locali. Ogni ragazzo coinvolto ha la possibilità – a seconda del proprio grado di competenze e alle proprie abilità – di sperimentarsi o nella produzione vera e propria della pasta, attraverso l’utilizzo dei macchinari, o attraverso il processo di confezionamento del prodotto essiccato .
L’Associazione UmbrellAutismo ONLUS è un’équipe di terapisti esperti sull’autismo in età infantile e li avevamo incontrati all’inaugurazione del Centro per l’età prescolare nel 2014 e quella del Centro Scolare nel 2018.
Abbiamo incontrato il dottor Leonardo Fava, presidente dell’associazione e co-ricercatore per l’ideazione del metodo Umbrella insieme alla dottoressa Kristin Strauss per una nuova sfida: la Challenge di Umbrella.
L’ultima volta che ci siamo incontrati ci avete parlato del progetto PONTE. Come sta procedendo?
Volendo racchiudere la risposta in un unico commento, direi: ce la stiamo mettendo tutta! Il progetto PONTE, progetto finanziato dalla Fondazione Terzo Pilastro Internazionale, è un progetto a cui teniamo in modo particolare, perché è uno dei progetti che più rispecchia i principi dell’associazione stessa, che da sempre non mira solo a fare terapia con il bambino, ma cerca di intervenire in tutta la realtà che lo circonda, in particolare la scuola e la famiglia. La raccolta dei dati va a gonfie vele e con la seconda fase del progetto che inizierà a breve, potremo già fare delle prime analisi di pre post intevento per valutare i risultati ottenuti. Per ora abbiamo dei riscontri più che positivi da parte delle famiglie, che stanno ricevendo sostegno psicoterapeutico, ma si tratta di scienza e solo con i dati in mano potremmo essere sicuri che stiamo raggiungendo il nostro obiettivo. Per ora, considerando tutte le varie vicessitudini, siamo più che soddisfatti.
Che storia è questa della Challenge?
Direi che l’idea nasce principalmente per due motivi.
Crediamo che poco, molto poco, in questa pandemia si stia facendo per la formazione dei giovani psicologi e terapisti che intendono occuparsi di autismo. Senza nulla togliere ai corsi di formazione (che si stanno facendo in 4 per garantire un buon livello di qualità di formazione) crediamo che questo tipo di professioni abbia bisogno di un investimento diverso, di apprendere dalla relazione e di mettersi in gioco in prima persona.
Poi vorremmo ispirare quei giovani neolaureati che sentono di avere le carte in regola ma che non trovano una situazione in cui mostrare le proprie capacità. Per questo la challenge è rivolta a chi ha, prima di tutto, voglia di competere con sé stesso per capire se ha le carte in regola per inserirsi nel mondo del lavoro in questo ambito.
Nei valori di Umbrella la competizione è sempre di squadra. Le nostre energie vanno rivolte alla qualità, all’eccellenza nel settore. L’etica ci impone di lavorare insieme per affrontare tematiche complesse, come il disturbo dello spettro autistico.
Quindi, in potenza, chiunque partecipa alla challenge può arrivare al traguardo!
Quindi è una specie di gara?
In un certo senso, ci sono una serie di step e il percorso è a sbarramento: se non si supera una prova non si può accedere a quella successiva. Ma non si combatte gli contro gli altri.
È più una sfida con se stessi. Non si tratta solo di mostrare le proprie capacità, ma avere la possibilità di sperimentarsi in un posto di lavoro concreto, con un tipo specifico di disabilità, all’interno di una equipe. Verificare se la propria idea di lavoro in un centro clinico corrisponde alle aspettative.
Ciascuno dei partecipanti può arrivare in fondo. E in questo ben venga collaborare con altri per aumentare la performance personale e del gruppo.
È un investimento sulla propria formazione: 4 mesi, 300 ore per acquisire le prime competenze ed entrare a far parte della squadra. Certo, per la strada del terapista senior ci vorranno altri sei mesi.
Alla fine, questa challenge vuole essere un’opportunità: impara il più possibile da un centro di eccellenza sull’autismo e, se scoprirai che questo è il lavoro per te, otterrai una collaborazione.
In palio c’è il lavoro?
Il lavoro non è un premio, è un diritto, sancito dalla nostra costituzione. Così come i nostri bambini hanno diritto ai miglior trattamenti possibili. E i giovani debbano avere la possibilità di spendersi per la propria aspirazione professionale.
In palio c’è la possibilità di incontrarsi, di crescere insieme, di iniziare una collaborazione in cui tutti vincono.
Per noi questa challenge ha un investimento importante: in termini di Risorse umane, di metodo, di spazi, di tempo. Ma abbiamo fatto della generosità uno stile di vita: eccellenza per noi è guardare al futuro. Più la professionalità nel campo è alta più il servizio offerto garantirà un futuro di maggiore qualità per tutti. #NessunoEscluso
Quindi chi può partecipare?
Di solito facciamo sempre una selezione in partenza: un tipo di laurea o altri criteri.
Ma con questa challenge vogliamo lasciarci stupire. Accogliamo volentieri tutti i neolaureati, di qualunque settore. Chissà che da un incontro nasca una collaborazione inaspettata e funzionale.
Allo stesso tempo, è probabile che chi afferisce alle discipline psico-sanitarie abbia le carte in regola per arrivare fino alla fine. Ma in questo caso vogliamo lasciarci provocare, e magari farci stimolare nell’apertura di un nuovo servizio costruito intorno alla professionalità e alla buona idea di qualcuno che ha voluto osare. Penso al campo dell’informatica o della statistica per le nostre ricerche. Ma anche il mondo della comunicazione, del found raising o a quanto si potrebbe fare per supportare le famiglie da un punto di vista legale.
Crediamo che ci sia sempre un modo per aiutare.
Quando si inizia?
Entro il 28 marzo si finalizza l’iscrizione con il saldo di 50euro. Il 2 aprile, giornata mondiale di consapevolezza sull’autismo, presenteremo i partecipanti durante una live facebook. Poi 17-18 aprile formazione teorica ed Esame scritto 40 ore di osservazione ed Esame orale 125 ore di partecipazione alle terapie ed Esame pratico (videoregistrato) 125 ore di organizzazione e supervisione ed Esame finale Il 7 agosto, con la chiusura estiva del centro, sapremo il responso finale J
L’Associazione UmbrellAutismo ONLUS festeggia due anni di attività del Family Coaching Project. E’ un’équipe di terapisti esperti sull’autismo in età infantile e li avevamo incontrati all’inaugurazione dell’associazione nel 2014.
Abbiamo incontrato il dottor Leonardo Fava, presidente dell’associazione e co-ricercatore per l’ideazione del metodo Umbrella insieme alla dottoressa Kristin Strauss.
Prima di tutto, cosa è Umbrella?
Umbrella nasce nell’Aprile del 2014 da un gruppo di ricercatori con l’obiettivo di confrontarsi e ragionare in maniera seria e scientifica per pianificare progetti multidisciplinari di ricerca e portare nuove conoscenze nel mondo del disturbo dello spettro autistico. Il 17 gennaio 2015 inauguriamo il primo centro, specifico per l’età prescolare, il 20 ottobre 2018 il secondo per l’età scolare.
I nostri centri ospitano attualmente 60 bambini e abbiamo in carico anche le rispettive famiglie. Importante è stata la sfida che la pandemia di questo 2020 ci ha portato di fronte. Abbiamo continuato con il servizio, trasformandolo a distanza. Da maggio abbiamo ripreso le attività in presenza e anche in piccoli gruppi, per poter continuare a garantire alle famiglie una proposta valida.
Crediamo che ogni professionalità e ruolo debbano essere rispettati ed enfatizzati, formati e sostenuti. Per questo il nostro trattamento non considera solo il bambino, ma tutte le figure che orbitano intorno a lui: la famiglia, la scuola, la comunità ed i professionisti.
La nostra pratica si basa su quelli che inglese vengono chiamati Evidence-Based Treatments (EBT, Trattamenti basati su prove di efficacia) ed Emperically Supported Treatments (EST, Trattamenti empiricamente supportati) questo perché la pratica clinica deve integrare la ricerca con il rispetto delle caratteristiche del paziente, la sua cultura e le sue opinioni.
Quindi Umbrella non è solo un centro di trattamento?
Umbrella è prima di tutto un centro di ricerca, che fa ricerca sul trattamento, ma è proiettata su tre ambiti principali: Ricerca, Trattamento e Formazione
Come centro di ricerca siamo gli inventori del metodo Umbrella (più specificatamente l’Umbrella Behavioral Model – UBM). Il modello è stato ideato secondo le più recenti indicazioni di efficacia a livello internazionale (APA) e a livello nazionale (Istituto Superiore di Sanità) e si basa sull’approccio neo comportamentale chiamato ABA-VB.
Abbiamo un importante passato di ricerca con oltre 8 articoli scientifici su prestigiose riviste internazionali (Research in Autism Spectrum Disorder e Research in Developmental Disabilities) e 12 presentazioni in convegni mondiali sull’efficacia dei trattamenti per l’autismo, e per il futuro abbiamo fatto partire dei progetti di ricerca che spaziano dall’Intelligenza artificiale, alla Musicoterapia ma anche ad un continuo miglioramento dell’attuale Metodo.
Proprio in questo momento stiamo cercando due terapisti per integrare l’equipe al centro scolare. Siamo sempre in ricerca di persone che vogliano integrare l’aspetto clinico e l’aspetto di ricerca scientifica. Volentieri accogliamo candidature a selezione@umbrellautismo.com
Festeggiate i due anni del Family Coaching Project? Ma è un altro modo di dire parent training?
Per Umbrella, il Parent Training è un percorso di consapevolezza rivolto ai genitori dei bambini presi in carico dai centri e mira a favorire la comprensione del disturbo, a facilitare il percorso di inclusione dei bambini e a ottimizzare la prosecuzione delle attività svolte nel centro anche fuori dall’associazione, per garantire il mantenimento e la generalizzazione delle abilità acquisite.
Il percorso di Parent Training è constituito da un fase iniziale, durante la quale si lavora in sessioni di gruppo che coinvolgono diverse coppie genitoriali. Successivamente, ha luogo un’altra fase durante la quale vengono svolte delle osservazioni delle registrazioni delle sessioni di terapia “uno a uno” da parte delle singole coppie genitoriali insieme al supervisore. Infine, l’ultima fase del Parent Training è dedicata all’osservazione e alla pratica durante le sessioni di trattamento “uno a uno”, sempre sotto la supervisione del terapista o del supervisore.
Il FAMILY COACHING PROJECT, che questo dicembre compie 2 anni, è un percorso di seminari pratici di approfondimento su varie tematiche legate all’autismo. Le tematiche sono state scelte direttamente con le famiglie, che hanno preferito: Comunicazione pragmatica, Gioco sociale e cognitivo e Sport, Comportamenti problematici, Organizzazione della vita quotidiana e rapporto con i fratelli, Problematiche associate all’autismo in comorbilità.
Il Family Coaching ha cadenza bimestrale ed è fondamentalmente un percorso di sensibilizzazione, per questo è aperto ai nonni/e, agli zii/e, insegnanti e baby sitter e, più in generale, a tutti quelli che vogliono approfondire un tema. È anche una festa, un momento per stare insieme e ritrovarsi. Mira soprattutto a costruire una rete, una comunità educante di supporto ai bambini e alle famiglie
E con la ricerca? Cosa bolle in pentola?
Il progetto PONTE, progetto finanzanto dalla Fondazione TERZO PILASTRO INTERNAZIONALE, è un progetto a cui teniamo in modo particolare, perché è uno dei progetti che più rispecchia i principi dell’associazione stessa, che da sempre non mira solo a fare terapia con il bambino, ma cerca di intervenire in tutta la realtà che lo circonda, in particolare la scuola e la famiglia.
La mission dell’Associazione, infatti, è quella di sviluppare progetti di presa in carico completo dei bambini con Disturbo dello Spettro Autistico con un approccio bio-psico-sociale per migliorare la qualità di vita, non solo del bambino, ma anche nel nucleo familiare. Quello che ha di innovativo questo progetto PONTE è il sostegno psicoterapeutico al nucleo familiare e la consulenza scolastica da parte di una figura facilitatrice dei rapporti con la famiglia e la rete sociale extra familiare.
Nonostante il progetto sia iniziato nei primi mesi del 2020, quindi esattamente nel periodo in cui siamo stati travolti dall’emergenza sanitaria, siamo comunque riusciti a gestire la sua procesuzione senza intaccare le tempistiche prefissate. Considerando poi, che si tratta di un progetto di ricerca scientifica, è essenziale cercare di mantenere degli standard prefissati, perché le ipotesi dalle quali si parte si basano su condizioni fissate a monte, che teoricamente dovrebbero essere modificate nel minor modo possibile. Ma non ci siamo fatti abattere, e siamo andati avanti, riprogettando e riadattando alcune parti del progetto, senza dover alterare le ipotesi di partenza.
Per ora abbiamo dei riscontri più che positivi da parte delle famiglie, che stanno ricevendo sostegno psicoterapeutico, ma si tratta di scienza e solo con i dati di lungo periodo potremmo essere sicuri che stiamo raggiungendo il nostro obiettivo. Per ora, considerando tutte le varie vicessitudini, siamo più che soddisfatti.
Ci sono nuovi progetti o interventi in programma nei prossimi mesi?
Abbiamo recentemente vinto un bando finanziato da Banca d’Italia, grazie al quale potremo finalmente realizzare un sogno che abbiamo da anni, cioè quello di creare delle aree attrezzate nella zona all’aperto dei nostri centri, da dedicare allo sport, alla socializzazione e all’esplorazione sensoriale. Grazie alla realizzazione di questo parco, che chiameremo il GIARDINO DEGLI OMBRELLI, potremo infatti inserire attività complementari accanto alle attività più strutturate svolte nel centro. Sappiamo che sono molti i vantaggi dati dall’attività fisica, soprattutto durante il periodo dello sviluppo, ma sappiamo anche che per i bambini con diagnosi di autismo e in generale per tutti i disabili, è ancora difficile accedere a questo tipo di servizi per cause diverse, come ad esempio una più diffusa povertà, un minore accesso ai servizi sanitari, l’esclusione dai contesti scolastici, sportivi e lavorativi. Noi pensiamo che creando questi spazi attrezzati potremmo finalmente offrire delle attività ai nostri bambini, attività alle quali alcuni di loro non avrebbero altrimenti mai potuto accedere.
L’Associazione ha in mente nuovi progetti per il futuro?
Ci sono diversi progetti che l’Associazione vorrebbe portare avanti nei prossimi mesi e come potete immaginare, molti sono nati per supportare il più possibile i nostri bambini e le loro famiglie in questo periodo così incerto ed emotivamente difficile che stiamo vivendo.
Sicuramente, fra i progetti più importanti c’è il progetto CON LORO, nato per dare un supporto specifico alle famiglie residenti fuori dalla regione Lazio, dove si trovano invece i nostri due centri terapeutici. Sappiamo che il periodo di quarantena ha causato un peggioramento nei sintomi autistici e la comparsa di nuovi comportamenti problematici e potete ben immaginare che in queste famiglie tali diffcioltà si sommano a quelle dovute alla distanza, che rende ancora tuttora difficile il raggiungimento dei centri qui a Roma dove svolgere la terapia.
Ci siamo resi conto che le diffcioltà legate alla distanza non sono solo dovute a questioni economiche e organizzative, che sono conseguenze ad esempio di stipendi ridotti e di restrizioni sugli spostamenti che variano da regione a regione, ma anche e soprattutto dal rischio di contagio maggiore cui si incorre, per cui le famiglie, comprensibilmente, sono più restie a spostarsi e quindi a proseguire la terapia. Tramite il progetto CON LORO vorremmo attivare una serie di servizi a distanza, per garantire da una parte un’assistenza terapeutica continua e dall’altra ridurre i disagi sia economici, sia sanitari cui potenzialmente incorrono tali famiglie. Inoltre il progetto con CON LORO vuole anche fornire un servizio di psicoterapia genitoriale a distanza e un supporto scolastico a distanza, per supportare tutto il nucleo familiare e aiutare anche il reinserimento scolastico dei bambini, oltre che cercare di dare continuità al percorso scolastico, che sicuramente subirà delle interruzioni dovute alle quarantene vigilate ad esempio, aspetto di per sé non ideale per i bambini normotipici, chiaramente più destabilizzante per i bambini con diagnosi di autismo.
E il Covid in tutto questo?
Di questi periodi di autismo si è parlato, ma troppo per i problemi che si sono creati. Più raramente per le soluzioni. Vorremmo lanciare un messaggio di speranza, con voi: continuiamo a studiare, ad inventare, ad eccellere. Non possiamo fermarci davanti al “non si può fare”. Non lo abbiamo fatto con disabilità anche gravissime, non lo faremo con il virus!
Ne approfitto per ringraziare i terapisti e i bambini che indossano la mascherina tutto il giorno: questa è la nostra vittoria contro il Covid.
Ricordiamo dunque i vostri contatti per chi ne volesse sapere di più.
L’abilità delle persone con autismo nel gestire le esigenze della vita quotidiana inizia a diminuire dopo aver lasciato la scuola superiore, secondo un nuovo studio. Ma coloro che mantengono più capacità rispetto ai loro coetanei hanno più probabilità di proseguire gli studi.
Le abilità della vita quotidiana – la capacità di occuparsi di compiti di vita indipendente, come la cura personale e la gestione del denaro – influenzano anche la probabilità che un adulto con autismo sia impiegato, secondo gli autori, ma in misura minore rispetto alla gravità dei loro tratti autistici.
I risultati sono gli ultimi di un gruppo di 253 persone – la maggior parte delle quali autistiche – iscritte a uno studio longitudinale da quando avevano 2 anni. Tutti hanno raggiunto la metà dei 20 anni. I primi risultati del gruppo hanno mostrato che le loro capacità di vita quotidiana sono migliorate con l’età di 21 anni, anche se più lentamente che per i loro coetanei senza autismo o un ritardo nello sviluppo.
Il nuovo studio esamina come se la sono cavata i partecipanti dopo aver lasciato la scuola superiore e l’invecchiamento al di fuori dei programmi di sostegno disponibili per bambini e adolescenti. I ricercatori hanno scoperto che i progressi nelle abilità di vita quotidiana tendono a rallentare di fronte a questo “scoglio dei servizi”. I risultati sottolineano la necessità di programmi di sostegno in età adulta e mettono in luce le esperienze degli adulti autistici, che tendono ad essere sottovalutati, dicono i ricercatori.
“Spero che il campo usi questo [documento] come un campanello d’allarme per sviluppare urgentemente più interventi per adulti”, dice Shaun Eack, professore di lavoro sociale e psichiatria alla University of Pittsburgh in Pennsylvania, che non è stato coinvolto nel lavoro.
Traiettorie delle competenze
I ricercatori hanno analizzato come le abilità di vita quotidiana di 98 partecipanti, di cui 81 con autismo e 17 con un ritardo nello sviluppo, sono cambiate con la crescita dai 2 ai 26 anni. Il team ha anche chiesto ai partecipanti e ai loro genitori se i partecipanti avevano un lavoro a tempo pieno o part-time e se erano stati iscritti in un istituto superiore di due o quattro anni o in una scuola professionale all’età di 18, 21 e 26 anni
L’équipe ha confermato la precedente constatazione che le capacità di vita quotidiana migliorano con l’età di 21 anni, ma ha scoperto che i partecipanti hanno perso alcune capacità all’età di 26 anni, dopo aver lasciato la scuola. A quel punto, i partecipanti sono caduti in uno dei due gruppi: Circa la metà aveva meno capacità di vita quotidiana rispetto all’altra metà; erano meno propensi a perseguire un’istruzione aggiuntiva o ad essere impiegati, indipendentemente dai loro quozienti di intelligenza.
Ma, a differenza dell’istruzione, i risultati occupazionali sono stati tracciati più con punteggi su una misura della gravità dell’autismo che con le abilità di vita quotidiana, suggerendo che gli elementi aggiuntivi interferiscono con le opzioni di lavoro delle persone autistiche, dicono i ricercatori.
“Va solo al fatto che le difficoltà sociali e tutte le cose che vengono con l’autismo fanno davvero la differenza nell’ottenere e mantenere un lavoro”, dice l’investigatore capo Catherine Lord, illustre professore di psichiatria e istruzione presso l’Università della California, Los Angeles.
I programmi che aiutano le persone autistiche ad orientarsi nel processo di assunzione e il posto di lavoro potrebbero aiutare, dicono Lord e i suoi colleghi, così come le informazioni che aiutano i datori di lavoro a lavorare in modo più efficace con le persone autistiche. Ad esempio, le opinioni degli intervistatori sugli intervistati autistici sono migliorate dopo che le domande sono state aggiornate in base al feedback degli intervistati, secondo uno studio di dicembre.
“Abbiamo fatto un ottimo lavoro di sensibilizzazione sull’autismo nei bambini, ma ci manca davvero questo pezzo per adulti”, dice la ricercatrice dello studio Elaine Clarke, una studentessa laureata della University of California, Los Angeles.
“Molti di questi problemi che emergono sul posto di lavoro sono dovuti al fatto che le persone non lo sanno”, dice Clarke. “Non so se c’è un servizio per questo o se è una cosa culturale che deve accadere, ma credo che anche questo abbia un ruolo importante”.
Abilità specifiche
L’articolo conferma in un ampio campione ciò che i medici hanno sentito per anni dai pazienti autistici e dai loro genitori, dice Briano Di Rezze, assistente professore di scienze della riabilitazione alla McMaster University di Hamilton, Ontario, Canada, che non è stato coinvolto nel lavoro.
“Sappiamo dalle famiglie e dagli individui – adulti – che ci sono delle sfide quando si passa alla vita adulta”, dice Di Rezze. “E’ un documento importante per iniziare a esaminarlo da una prospettiva di gruppo e dal punto di vista dei dati”.
Secondo Di Rezze e i ricercatori, gli studi futuri dovrebbero analizzare quali sono le capacità di vita quotidiana più cruciali per il successo degli adulti. Dovrebbero anche esaminare come queste competenze e i risultati variano nelle persone che vivono in paesi con servizi diversi, per scoprire quale tipo di supporto ha più successo.
“Questo è davvero quello che tutti vogliono”, dice Di Rezze.
Signore, Clarke e i loro colleghi stanno lavorando per misurare indicatori meno tangibili della qualità della vita in età adulta, perché non tutti possono o vogliono lavorare o perseguire l’istruzione superiore. A tal fine, stanno progettando uno strumento per valutare se gli adulti autistici hanno attività di cui si divertono e che sono in grado di svolgere in modo indipendente.
Un team di ricercatori affiliati a una serie di istituzioni in Cina ha trovato prove di una carenza di microbo intestinale nei bambini che sviluppano un disturbo dello spettro autistico (ASD). Nel loro articolo pubblicato sulla rivista Science Advances, il gruppo descrive il loro studio dei microbi intestinali nei bambini affetti da ASD e ciò che hanno trovato.
Ricerche precedenti hanno suggerito che dietro l’insorgenza dell’autismo potrebbero esserci problemi con il microbioma intestinale, ma quali possano essere questi problemi è rimasto un mistero. In questo nuovo sforzo, i ricercatori potrebbero aver fatto un altro passo verso la soluzione di questo mistero.
Il lavoro ha riguardato la raccolta di campioni di feci da 39 bambini con diagnosi di ASD, e anche da 40 bambini che non avevano il disturbo. Ma poiché le grandi differenze di bioma intestinale sono comuni tra le persone, i ricercatori sono stati attenti a scegliere per lo studio bambini che normalmente avrebbero avuto biomi simili a causa dell’età, del luogo in cui vivevano e di altri fattori. Ciascuno dei campioni di feci è stato sottoposto a sequenziamento metagenomico per determinare se ci fossero differenze evidenti tra i bambini con ASD e quelli che non ne erano affetti.
Il team si è concentrato in particolare su 18 specie microbiche che sono state precedentemente collegate all’ASD. Così facendo, il team ha trovato differenze nei rapporti degli enzimi disintossicanti nei bambini con ASD rispetto a quelli che non ne avevano. Sentendo di aver trovato qualcosa, il team ha ulteriormente testato altri 65 bambini con ASD e ha trovato gli stessi risultati. Essi suggeriscono che l’ASD si sviluppa probabilmente nei bambini a causa di un impatto microbico intestinale sul processo di disintossicazione nell’intestino. E questo, a sua volta, permette alle tossine ambientali di entrare nel flusso sanguigno dove danneggiano i mitocondri nelle cellule cerebrali, portando a sintomi correlati all’ASD.
I ricercatori riconoscono che è necessario un maggiore lavoro, ma suggeriscono anche che potrebbe essere possibile creare una terapia che aiuti il processo di disintossicazione, allontanando così l’insorgenza di autismo – o meglio ancora, per superare gli elementi che portano a problemi di disintossicazione in primo luogo.
I ricercatori hanno scoperto che le femmine con autismo “volano” sotto il radar della diagnosi perché risultano brave a camuffare i loro comportamenti.
Secondo la National Autistic Society, circa una persona su 100 è presente nello spettro dell’autismo e nel Regno Unito ci sono circa 700.000 adulti e bambini autistici, secondo la National Autistic Society.
Eppure una diagnosi di autismo è fatta molto più frequentemente, e in età più precoce, nei maschi rispetto alle femmine – a un tasso di circa quattro maschi per ogni femmina.
Un nuovo studio condotto da esperti del Center for Innovation in Mental Health dell’Università di Southampton, della Liverpool Hope University e dell’University College di Londra, ha gettato ulteriore luce su quanto le femmine siano abili a nascondersi – o quello che è stato definito ‘camuffamento’ – i loro tratti autistici al fine di adattarsi, un comportamento che potrebbe vederle schivare una diagnosi e non riuscire a ottenere l’aiuto di cui hanno bisogno.
In un test di comportamento sociale reciproco – che include un insieme di comportamenti come il fare a turno, seguire l’iniziativa di qualcun altro, ed essere flessibili – le femmine autistiche hanno mostrato una presentazione sociale più avanzata rispetto ai maschi, nonostante entrambi i sessi abbiano livelli simili di tratti autistici.
Dr. Henry Wood-Downie, who is now a Research Fellow at Southampton Education School, says that a better awareness of camouflaging could lead to increased support for those who might otherwise slip the net.
Commenting on the research, published in the Journal of Autism and Developmental Disorders, Dr. Wood-Downie suggested that: “We need to raise awareness of camouflaging in general, in terms of educating school staff, GPs and other practitioners, because there seems to be a lot of autistic females flying under the radar as things currently stand. And we want to raise this awareness so that girls who need it can access support at the earliest stage possible—because early intervention is usually key in promoting positive outcomes.”
Alcuni dei comportamenti tipici dei bambini con autismo includono il non rispondere al loro nome, evitare il contatto visivo, ripetere certe frasi, lottare per capire cosa pensano e sentono gli altri, adottare routine rigorose, e anche fare movimenti ripetitivi, come sbattere le mani, muovere le dita o dondolare il corpo.
L’autismo è anche associato ad una serie di punti di forza, tra cui l’attenzione al dettaglio, il pensiero logico e l’ottima memoria per gli argomenti di interesse.
Nel complesso, le ragazze autistiche possono essere più tranquille, nascondere i loro sentimenti e possono apparire più capaci di affrontare meglio le situazioni sociali, il che significa che possono non mostrare i comportamenti stereotipati associati all’autismo.
E la ricerca suggerisce che questi comportamenti possono riflettere le strategie di camuffamento usate nell’interazione sociale per apparire meno autistiche.
Lo studio stesso ha coinvolto un gruppo di 84 partecipanti, di età compresa tra gli 8-14 anni, e comprendeva bambini e adolescenti maschi e femmine autistici e non autistici.
Fondamentalmente, alcuni dei partecipanti autistici hanno ottenuto un punteggio elevato su una misura di tratti autistici, e dove c’erano state preoccupazioni sollevate da scuole e/o genitori, ma che in realtà non avevano una diagnosi formale di autismo – l’idea è che se si includono solo le femmine con una diagnosi formale, potrebbe mancare coloro che sono mimetizzati.
Per misurare il mimetismo comportamentale, i partecipanti hanno preso parte a un compito di disegno interattivo, in cui un ricercatore e un giovane si sono alternati per creare un disegno, come una casa, partendo da una semplice linea.
Il Dr. Wood-Downie dice: “Quello che stai cercando di vedere è se il bambino può lavorare con te per fare un disegno congiunto, per costruire sui passi graduali che entrambi mettete in pratica. Potreste, per esempio, cambiare il disegno per vedere se il bambino o l’adolescente può essere flessibile con voi, cosa che si pensa sia difficile per molti bambini autistici”.
Agli sforzi di comportamento reciproco sono stati assegnati punti se, ad esempio, il bambino o l’adolescente ha dato un contributo significativo al disegno o ha spinto la carta sulla scrivania dopo il loro turno, prima che fosse assegnato un punteggio complessivo.
Per quanto riguarda le partecipanti femminili, i bambini e gli adolescenti autistici e non autistici avevano punteggi quasi identici, con le donne autistiche che raggiungevano un punteggio medio di 2,91 rispetto a 2,89 nel gruppo dei neurotipici.
Ma i bambini e gli adolescenti non autistici maschi hanno ottenuto punteggi di reciprocità sociale molto più alti rispetto ai maschi non autistici. Il divario tra i punteggi è stato maggiore di 2,16 nel gruppo autistico rispetto a 3,22 nella coorte neurotipica.
I risultati dello studio sostengono l’idea di camuffamento comportamentale in cui le femmine autistiche si presentano come simili alle femmine non autistiche.
Al contrario, i maschi autistici presentati come molto diversi dai maschi non autistici, anche se i maschi e le femmine autistici avevano livelli molto simili di tratti autistici.
È importante notare che lo studio ha misurato anche la teoria della mente dei partecipanti, cioè la loro capacità di riconoscere lo stato mentale degli altri.
Questo è stato indagato attraverso una versione per bambini del famoso test Reading the Mind in the Eyes, in cui i partecipanti guardano una serie di immagini quando era visibile solo la regione degli occhi di una persona.
I bambini e gli adolescenti dovevano poi far corrispondere l’emozione trasmessa a una delle quattro parole, come arrabbiato o felice.
I risultati hanno mostrato che i bambini e gli adolescenti, sia maschi che femmine, avevano una teoria simile dei punteggi mentali. Poiché la reciprocità sociale era molto più avanzata nelle donne rispetto ai partecipanti maschi, ciò fornisce un’ulteriore prova della mimetizzazione compensativa nelle donne autistiche.
Allora, perché è così importante per i professionisti capire il camuffamento?
Il dottor Wood-Downie spiega: “In generale, l’intervento precoce è una buona cosa, e l’intervento successivo è di solito associato a risultati di sviluppo più scadenti. Se ci sono individui di sesso femminile che si trovano in difficoltà, è meglio riconoscerlo prima, in modo da mettere in atto un sostegno adeguato per coloro che ne hanno bisogno. E, in effetti, ci sono ricerche che suggeriscono che le donne autistiche vengono prelevate solo una volta che hanno raggiunto il punto di crisi – cioè, ricevono una diagnosi di autismo solo dopo essere state indirizzate ad altri servizi di salute mentale per cose come la depressione, l’ansia e i disturbi alimentari”.
Altri studi di ricerca hanno scoperto che alcuni maschi autistici si mimetizzano, e quindi questi individui sono anche a rischio per simili difficoltà di salute mentale.
Dr. Julie Hadwin, della Scuola di studi sull’educazione dell’Università di Liverpool Hope e membro del Centro per l’educazione e l’analisi politica della speranza (CEPA), che ha contribuito alla ricerca, sostiene che “il mimetismo stesso è qualcosa che può portare a difficoltà”.
“È una cosa stressante e faticosa da fare”. Le ragazze descrivono il camuffamento come il doversi costantemente mimetizzare per essere qualcosa che non sono”. E, naturalmente, è una cosa davvero difficile da mantenere”.
“Le donne possono avere una crisi d’identità, perché cercano di non essere se stesse e allo stesso tempo si impegnano in strategie di mimetizzazione che richiedono molto sforzo e lasciano poco spazio alla capacità di impegnarsi in altre cose, come il lavoro scolastico”.
Tutto questo, sostiene il dottor Wood-Downie, può indicare che, quando si tratta di diagnosticare l’autismo, potrebbe essere necessario spostare i punti di arrivo in base al genere.
Ma il Dr. Wood-Downie è anche veloce nel sottolineare che l’approccio della società all’autismo non dovrebbe mai essere a senso unico.
Egli spiega: “L’attenzione non dovrebbe essere solo sulle persone autistiche. Se la società nel suo insieme accettasse maggiormente le differenze sociali che gli individui autistici spesso mostrano, forse sentirebbe meno il bisogno di cercare di mimetizzarsi. Questo è qualcosa che sono davvero desideroso di sostenere. C’è anche una cosa chiamata “problema della doppia empatia”. In passato, le persone, compresi i ricercatori, hanno spesso dato per scontato che si trattasse di un problema di comprensione degli altri da parte degli autistici. Ma, in realtà, va in entrambi i sensi. Le persone non autistiche hanno difficoltà a capire le persone autistiche, mentre le persone autistiche hanno difficoltà a capire le persone neurotipiche. È una doppia mancanza di comprensione che porta a difficoltà”.
La scelta dei bambini con ASD tra applicazioni e il tradizionale sistema PECS
1°parte
(Jennifer B. Ganz, Rea Hong, Fara D. Goodwyn)
Riassunto: E’ stata svolta una ricerca sull’efficacia di un tablet basato su un sistema di comunicazione mediante lo scambio di immagini (PECS, picture Exchange communication system).
Tale sistema è stato utilizzato da tre bambini in età prescolare, i partecipanti sono stati diagnosticati con disturbo dello spettro autistico (ASD).
Scopo della ricerca era indagare la preferenza per l’applicazione in confronto al tradizionale PECS; una volta che i partecipanti hanno mostrato minimi livelli di padronanza per entrambi metodi (Applicazione e Sistema Tradizionale, come ad esempio un libro di comunicazione aumentativa alternativa) si è sviluppato un disegno di ricerca sperimentale per determinare l’efficacia dell’app.
I risultati indicano che i partecipanti hanno mostrato rapidamente una buona padronanza dell’applicazione.
A seguito della sperimentazione, due partecipanti hanno dimostrato una preferenza per l’applicazione, mentre l’altro preferiva il sistema PECS tradizionale basato su un libro di comunicazione CAA.
Introduzione
Una delle principali caratteristiche dei soggetti con autismo è un ritardo nella comunicazione ricettiva ed espressiva, e approssimativamente la metà di questi soggetti non sviluppano un modo per esprimere i loro bisogni di base.
Questi deficit combinati al numero crescente di individui con diagnosi di ASD hanno portato ad una pressante necessità di identificazione delle pratiche basate sull’evidenza, in particolare per coloro che non possono utilizzare i mezzi classici di comunicazione (es, parlare).
LaComunicazione Aumentativa Alternativa (CAA) è stata implementa per compensare i deficit in comunicazione funzionale e abilità linguistiche in soggetti con bisogni comunicativi complessi.
I sistemi di CAA hanno la funzione come un supplemento al discorso o come un mezzo alternativo di comunicazione.
La CAA include sistemi di comunicazione che includono il linguaggio dei segni(MS), dispostivi con output vocale (SGD) e lo scambio di immagini (PECS), questi sistemi si sono effettivamente dimostrati in grado di migliorare diverse abilità dei soggetti come le abilità sociali, modificare e migliorare comportamenti e soprattutto un miglior apprendimento. Recenti meta-analisi hanno dimostrato come gli strumenti di PECS e SGD possano avere grandi effetti nelle abilità comunicative di giovani con autismo.
Il sistema di comunicazione mediate lo scambio di immagini (PECS) è uno dei sistemi di CAA usati con maggior frequenza con soggetti con ASD, questo sistema comprende sei fasi.
Nella prima fase, il bambino fa una richiesta attraverso lo scambio di immagini, (cioè , il bambino dà un quadro raffigurante l’ elemento preferito ad un partner comunicativo , allora il bambino riceve l’elemento). Una persona che svolge un ruolo di suggeritore siede alle spalle del bambino e chiede a lui o a lei di scambiare l’immagine quando il bambino tenta di ottenerla , o raggiungerla.
Nella fase II , le stesse procedure vengono applicate e la distanza tra il bambino, il partner comunicativo, e il suo libro di comunicazione è aumentata.
Il partner comunicativo si allontana dal bambino e il suggeritore spinge il bambino a scambiare un’immagine muovendosi attraverso lo spazio per raggiungere il partner comunicativo .
All’inizio della Fase III , non c’è suggeritore , e al bambino viene insegnato a discriminare tra più simboli su un libro di comunicazione.
La fase IV coinvolge insegnare al bambino ad usare una struttura della frase con un’immagine di ”Io voglio ”. Nella fase V, al bambino viene insegnato a rispondere a domande come ” Cosa vuoi ? ” Infine, nella fase VI , al bambino viene insegnato come rispondere ad altre domande , come ad esempio ” Cosa ti piace ? ”.
Anche se ci sono prove che la CAA sia efficace per le persone con autismo, ci sono altre questioni riguardanti l’efficacia relativa ai diversi sistemi di CAA e la relazione esistente tra la preferenza di un partecipante per un determinato sistema e la loro efficacia.
Numerosi studi hanno confrontato l’apprendimento dei sistemi di CAA diversi e la preferenza per uno di questi sistemi, ad esempio nello studio di van der Meer si è visto come ognuno dei partecipanti ha preferito uno dei sistemi prima di avere la padronanza per uno di questi.
I dispositivi portatili (tablet, smart phones, ecc) stanno diventando ogni volta più onnipresenti nella società e i ricercatori hanno iniziato a ricercare gli effetti dei sistemi di CAA per i soggetti con ASD nel miglioramento delle diverse attività (sociali, accademiche e comunicative).
Nonostante si siano dimostrati i miglioramenti in alcune aree mirate nei soggetti con ASD, il ruolo della preferenza dei partecipanti nei sistemi di CAA, particolarmente quelli che riguardano i dispositivi portatili inizia ad essere esaminata con maggior frequenza.
Lo scopo di questo studio è quello di indagare se l’efficacia di un’applicazione su tablet per insegnare agli studenti con autismo a discriminare tra immagini degli elementi preferiti e per determinare se, una volta imparata la terza fase del PECS con entrambi strumenti (tablet e libro di comunicazione), i partecipanti avrebbero mostrato una preferenza per uno dei sistemi di CAA. Le domande della ricerca sono: (a) può avere una relazione funzionale tra le istruzioni della fase III con l’applicazione e la corretta discriminazione tra l’immagine digitale quando si fanno richieste per l’oggetto preferito; e (b) possono i partecipanti dimostrare una forte preferenza per una modalità sopra l’altra?
Metodi
Partecipanti: Lo studio include tre partecipanti con ASD e bisogni comunicativi complessi (CCN), i partecipanti avevano tra i 3 e i 4 anni di età e sono stati diagnosticati con ASD indipendentemente da questo studio e hanno avuto esperienze precedenti con il PECS e una padronanza della fase III o IV. Tutti i partecipanti frequentano una clinica intensiva per autistici di età prescolare quattro giorni a settimana per due ore e mezza a giorno. Questo progetto prende luogo durante la sessione estiva, ogni partecipante ha ricevuto terapia del linguaggio e occupazionale per trenta minuti due volte a settimana.
Damian, è un bambino di tre anni diagnosticato con disturbo pervasivo dello sviluppo, ha ricevuto assistenza intensive per l’autismo e terapia del linguaggio e occupazionale per almeno un anno e mezzo prima di iniziare questo studio, i suoi genitori parlano principalmente in spagnolo a casa e la maggior parte delle terapie le ha ricevute in spagnolo, fa contatto visivo quando si sente chiamato per nome e ha mostrato alcuni comportamenti sfidanti soprattutto quando i suoi oggetti preferiti vengono rimossi. Jason è un bambino di 3 anni diagnosticato con ASD. Ha ricevuto assistenza comportamentale intensiva per almeno un anno e mezzo, fa contatto visivo se la persona che lo chiama per nome sostiene in mano il suo oggetto preferito, presenta comportamenti sfidanti soprattutto quando i suoi oggetti preferiti vengono rimossi. Javier è un bambino di 4 anni con diagnosi di ASD, ha ricevuto assistenza comportamentale intensiva per almeno un mese, raramente ha un fugace contatto visivo con altre persone e mostra un limitato interesse in oggetti o cibo e non è motivato a lavorare per ottenere i suoi oggetti preferiti.
TABELLA DELLE CARATTERISTICHE DEI PARTECIPANTI:
Seconda parte
Strumenti: Le attività si sono svolte in una stanza privata del centro, sul tavolo c’erano solo i materiali preferiti identificati precedentemente durante le valutazioni e i libri per comunicazione e/o l’iPad. Gli adulti nella stanza erano il realizzatore, il partecipante e un secondo osservatore.
Materiali: 7 o 8 oggetti preferiti dai soggetti sono state selezionate per lo studio, questi oggetti sono state incluse basati dai risultati della valutazione delle preferenze dei partecipanti. Gli oggetti selezionati sono stati rappresentati come linee colorate (2×2 pollici) in entrambi strumenti (iPad e libro di comunicazione) . Il libro di comunicazione era 4×5 pollici con quattro strisce di Velcro sul libro e quattro figure degli oggetti che sono state mostrate nella copertina del libro. È stato usato un’iPad (Apple), sullo schermo sono state mostrate le stesse figure del libro e avevano il nome al di sotto della figura, l’icona sull’iPad produceva un suono registrato.
Design: è stata implementata una fase iniziale multipla per ogni partecipante e una fase iniziale di controllo per ogni tipo di intervento per valutare l’impatto dell’intervento nei comportamenti mirati. I dati delle diverse fasi sono stati confrontati, e l’intervento è stato introdotto in modo sfalsato tra i tre partecipanti.
MISURE:
Misure approssimative: Ogni uso indipendente dai partecipanti e l’uso dell’applicazione (su iPad) sono state misurate durante ogni prova. I ricercatori hanno presentato gli oggetti preferiti di ogni partecipante, ad ogni partecipante gli è stato dato un’opportunità di selezionare un oggetto utilizzando il libro di comunicazione PECS o l’app; sono state date quattro prove/opportunità ad ogni partecipante per sessione, è stata considerata come risposta corretta o (+) la selezione dell’immagine dell’oggetto richiesto (in entrambi strumenti), scorretta o (-) quando il partecipante scambiava una figura che aveva toccato con un’altra che non corrispondeva a quella richiesta. Per determinare la padronanza d’uso dovevano esserci almeno 3 prove su 4 corrette per ogni tipo di sistema in ogni sessione.
FASI DELLA RICERCA:
Valutazione delle preferenze: è stato usato stimoli multipli senza sostituzione per valutare le preferenze di ogni partecipante. Questo è stato condotto tramite la valutazione di i otto stimoli ( giocattoli e alimentari) e chiedendo al partecipante di ” scegliere uno ”. Dopo che il partecipante ha scelto l’oggetto preferito , gli fu permesso di entrare in contatto con esso per circa 30 secondi mentre l’ordine dei restanti oggetti fu riordinato . L’elemento selezionato è stato poi rimosso e al partecipante gli è stato chiesto di selezionare un elemento dagli oggetti rimanenti. Questo è stato ripetuto fino a quando sono stati scelti tutti gli elementi o il partecipante non ha scelto un articolo dopo tre richieste di selezionare un elemento. Gli Articoli preferiti da Damian incluso un giocattolo pin , plastilina ,due libri di storia , un trenino , registratore di cassa , una lavagna a secco , e le bolle . Jason ha preferito grissini, bastoncini di pesce e sono stati selezionati , un aeroplano, puzzle di animali , un taxi giallo , un libro illustrato , e bolle. Gli articoli preferiti da Javier sono un auto da corsa, una ruota panoramica giocattolo , un trenino , due elicotteri, un aereo e un trattore .
Fase iniziale: Sono state raccolte un minimo di tre dati di riferimento delle prestazioni delle abilità mirate dei tre partecipante e sono continuate fino a che i partecipanti non hanno dimostrato la padronanza della fase III della PECS (per Damian e Jason) e la fase IV (per Javier) e i dati fossero stabili per entrambi sistemi (applicazione e libro di comunicazione). La fase III è stata usata come fase finale dello studio visto che gli sviluppatori dell’applicazione non sono andati oltre questa fase. Il bambino e il realizzatore si sono seduti per terra o attorno ad un tavolo faccia a faccia e con entrambi sistemi di PECS e gli oggetti preferiti del bambino si trovavano vicino al realizzatore. Entrambi sistemi sono stati presentati con le quattro immagini che rappresentavano gli oggetti preferiti, l’iPad era accesso ma col volume spento per essere il più simile possibile al libro, per Javier (che aveva padronanza della fase IV del PECS) c’era anche l’immagine del “Io voglio”. Il realizzatore ha fornito al bambino un oggetto quando il bambino aveva avviato uno scambio sia utilizzando autonomamente il libro di comunicazione o toccando una singola figura dell’iPad. Il realizzatore ha seguito il protocollo della fase della fase III del PECS (fase IV per Javier), tuttavia, non sono state richieste procedure di correzione di errore per PECS né sono state attuate durante le sessioni di base. I controlli di corrispondenza sono stati condotti una volta che il partecipante ha avviato uno scambio di figure.
Fase di istruzione per l’applicazione PECS: Durante questa fase, il libro di comunicazione PECS è stato rimosso, il realizzatore ha insegnato ai bambini ad usare l’applicazione, le procedure della fase III (per Javier fase IV) sono state implementate seguendo i passi dati dal manuale del PECS. Il suono dell’ iPad era accesso durante le sessioni. Il realizzatore ha fornito l’occasione ai partecipanti di toccare ogni immagine sul iPad e far combaciare ogni immagine con ogni oggetto . Sono state condotte procedure di correzione degli errore per evitare che il partecipante prendesse elementi non corrispondenti. Una seconda procedura di correzione degli errori è stata condotta, se questa fosse necessaria (se il partecipante ha commesso un secondo errore nella selezione di immagini o se le immagini non corrispondevano agli elementi selezionati). La procedura di correzione dell’errore è stata eseguita secondo il protocollo PECS e ha coinvolto il realizzatore bloccando la selezione non corretta, mostrando la selezione dell’immagine corretta, spingendo al partecipante a toccare l’immagine che corrispondeva con l’elemento selezionato, quindi presentando una nuova opportunità di fare una richiesta. Poiché l’applicazione utilizzata in questo studio era originariamente sviluppata per PECS Fase IIIB , le istruzioni del protocollo PECS fase IV sono state date solo a Javier. A Javier gli è stato chiesto di toccare due immagini , l’immagine per ”Io voglio ” e poi l’immagine dell’elemento in sequenza. Sono state attuate richieste più o meno fisiche e verbali per aiutare il bambino a utilizzare il dispositivo in modo corretto . Quattro opportunità sono state date a ciascun partecipante per ogni sessione e sono state svolte sei sessioni durante la fase di istruzione dell’ app. Questa fase ha continuato finché il bambino abbia dimostrato due delle quattro prove di uso indipendente per almeno tre sedute consecutive.
Fase di scelta delle opzioni post-istruzioni: Le procedure erano identiche a quella della fase iniziale, ad eccezione del suono acceso dell’iPad durante le sessioni. Sul tavolo sono stati collocati i due sistemi di comunicazione tra il realizzatore e il partecipante, allo stesso modo erano presenti anche gli oggetti preferiti dei partecipanti. Il realizzatore non ha fornito nessun suggerimento per motivare la selezione del partecipante, al quale è stato permesso di selezionare uno dei modi per scambiare oggetti. Sono stati raccolti un minimo di sei punti dati per ogni partecipante in questa fase. Il numero di volte che il partecipante ha scelto uno dei sistemi. Il numero di volte che il partecipante ha selezionato ogni sistema, indipendentemente dalla correttezza dell’uso del sistema è stato anche calcolato sommando le prove in cui il partecipante ha dimostrato l’uso corretto e non corretto delle quattro opportunità di comunicazione all’interno di ogni sessione. Questa fase ha continuato finché il bambino ha dimostrato la padronanza di tre su quattro prove di selezione di uno dei sistemi di comunicazione per almeno 3 punti dati.
Analisi: Sono state usate analisi visive e statistiche per analizzare i dati. I cambiamenti dei trend, livelli e variabilità sono state analizzate tramite un’analisi visiva per stabilire una relazione funzionale tra le variabili dipendenti e quelle dell’intervento. I dati statistici sono stati analizzati attraverso il metodo Tau-U.
Accordo tra valutatori: Tutte le fasi della ricerca sono state osservate da due valutatori (il realizzatore e un osservatore esterno), è stato calcolato l’accordo tramite il metodo PABAK che ha mostrato che le procedure sono state implementate correttamente e con una buon correlazione tra i valutatori.
Terza parte
RISULTATI:
Indipendenza e uso corretto dell’Applicazione e PECS: Sebbene tutti i partecipanti abbiano dimostrato abilità di fare richieste indipendenti utilizzando PECS, questi hanno mostrato un livello zero nella scala di indipendenza e in quella di uso corretto dell’applicazione durante la fase precedente alle istruzioni dell’applicazione stessa. Seguendo le istruzioni i partecipanti hanno utilizzato l’applicazione sia in modo autonomo sia corretto, con ciò si è stabilita una relazione funzionale tra la fase di istruzione dell’applicazione e quella della scelta delle opzioni (post-istruzione).
Damian e Jason: i suoi punteggio sono aumentati nella scala di indipendenza nell’uso dell’applicazione, entrambi sono passati da un punteggio pari allo zero nell’uso corretto dell’applicazione durante la fase iniziale (prima delle istruzioni) ad una media di 2-4 usi corretti durante la fase della scelta delle opzioni post istruzione, ma nell’uso del PECS entrambi i partecipanti sono diminuiti nella scala di indipendenza arrivando a punteggi vicini allo zero.
Javier: il suo punteggio ha variato poco durante la prima fase e quella post intervento (fase della scelta delle opzioni) passando da 0 a 1 e i suoi risultati non sono statisticamente significanti.Risultati dell’uso corretto dell’applicazione PECS
Scelta dell’applicazione e PECS:
Frequenza della scelta dell’applicazione e frequenza della scelta del PECS: i dati sono stati raccolti per ogni partecipanti nella fase iniziale e nella fase delle scelta delle opzioni post-istruzioni (FIGURA2).
Durante le istruzioni dell’applicazione il libro PECS non era disponibile, la figura 3 mostra il numero di volte che i partecipanti hanno scelto l’applicazione o PECS durante la fase di scelta post-istruzione, dopo che è stato insegnato loro ad usare l’applicazione. Damian e Jason hanno dimostrato una preferenza per l’applicazione scegliendola più volte a comparazione del PECS, Javier ha scelto continuamente PECS piuttosto che l’applicazione.
DISCUSSIONE:
La prima domanda della ricerca ha studiato l’efficacia dell’implementazione di un’applicazione della fase III del PECS su un tablet con tre bambini diagnosticati con ASD. Come è stato illustrato nella figura 1, esiste una chiara relazione funzionale tra l’uso dell’applicazione e la frequenza di risposte corrette. Tutti i tre partecipanti hanno dimostrato miglioramenti. Damian e Jason hanno avuto poca o nessuna sovrapposizione tra la fase iniziale e quella delle istruzioni, Mentre Javier è stato più lento a fare progressi, questo può essere dovuto al suo recente passaggio alla Fase IV del PECS, questa fase comprende una combinazione di immagini più complessa per fare le richieste. La seconda domanda della ricerca ha studiato se i partecipanti hanno mostrato una chiara e maggiore preferenza per uno dei sistemi di AAC, questa preferenza non è stata dimostrata. Mentre Damian e Jason hanno preferito l’uso dell’applicazione sul tablet, Javier ha scelto più frequentemente di usare il metodo tradizionale di comunicazione PECS (tramite il libro di comunicazione), questo può essere stato causato dal suo recente passaggio alla fase IV e la sua storia di rinforzamenti usando il libro di comunicazione PECS, la padronanza di questo metodo può aver compromesso l’apprendimento dell’uso dell’applicazione. Un’altra spiegazione per la preferenza per l’applicazione da parte di Damian e Jason potrebbe essere che i loro terapisti frequentemente usano un tablet per fornire rinforzi attraverso video, il terapista di Javier non l’ha usato come mezzo di rinforzo.
Questo studio suggerisce molte implicazioni pratiche, nei contesti reali, famiglie e fornitori di servizi devono esaminare i costi e i benefici di queste tecnologie. In alternativa, se un individuo con CCN (bisogni comunicativi complessi)ha una forte preferenza per un dispositivo ad alta tecnologia, lui o lei può essere più propenso ad usare frequentemente e generalizzare il suo utilizzo attraverso diversi contesti. Inoltre, il suono prodotto dal iPad può avere un valore di rinforzo per alcuni dei soggetti, quindi, con una conseguente la preferenza basata sugli aspetti uditivi del dispositivo di CAA piuttosto che altri fattori, come la facilità di utilizzo. Indipendentemente, una forte preferenza per un particolare dispositivo, indipendentemente delle sue caratteristiche, può provocare la manutenzione dell’uso di questi dispositivi. Durante questo studio, si è ipotizzato che, analogamente ai possibili meccanismi attuali come la modellazione video, l’applicazione CAA, per sua natura, fornirebbe un modello verbale coerente, a differenza dei partner comunicativi adulti, che a volte possono modellare la parola e dimenticare di fornire un modello. Ciò indica la necessità per la ricerca futura sul potenziale dei SGD (dispositivi di output vocale), anche attraverso applicazioni tablet, per promuovere il linguaggio espressivo e ricettivo.
La storia di Gianfranco Vitale è l’emblema della difficoltà e dolore che le famiglie con figli disabili ha dovuto vivere in questi interminabili mesi di emergenza sanitaria.
Riportiamo qui di seguito la storia di Gianfranco Vitale che dopo 3 mesi ieri è riuscito a rivedere il figlio di 39 anni con disturbo dello spettro autistico. Gianfranco sta inoltre avviando un’iniziativa legale collettiva per far valere i diritti di tutti i disabili.
25 Giugno 2020, Gianfranco Vitale: “PERCHE’ LA COLPA E’ ANCHE NOSTRA”
Buon giorno a tutti, ieri, dopo più di tre mesi, previo appuntamento e in presenza di un operatore, ho potuto incontrare mio figlio Gabriele, autistico, ospite di una comunità residenziale in Torino. L’incontro si è svolto in un luogo neutro, all’esterno della struttura. Appena arrivato ho dovuto avvertire telefonicamente un operatore e attendere qualche minuto prima di essere chiamato. Ho consegnato la confezione di brioche e quella di succhi di frutta, che avevo portato per Gabriele, come si fa quando ci si reca in ospedale per incontrare una persona malata. Indossata la mascherina e sanificate le mani mi è stata misurata la temperatura, ho poi risposto per iscritto ad alcune domande fotocopiate su un foglio (l’autodichiarazione). A queste doverose precauzioni sono seguite le cosiddette regole del distanziamento sociale (le stesse che non vengono applicate al popolo delle movide che ha come protagonisti i “normali”) che mi hanno impedito di riabbracciare Gabriele, come avrei voluto, in quello che è stato un incontro la cui durata prefissata doveva essere mezz’ora. Lascio immaginare il mio stato d’animo e quello di mio figlio. Sono stati trenta minuti, “concessi” dopo più di novanta giorni, emotivamente tra i più difficili della mia vita.
Nei giorni precedenti avevo molto riflettuto se utilizzare questa opportunità, consapevole del rischio che mio figlio potesse non reggere la tensione accumulata finendo per subire danni ben maggiori rispetto ai teorici benefici. Alla fine ho scelto di rischiare piegandomi a quello che considero un vero e proprio ricatto che però, ci tengo a sottolinearlo, non attribuisco affatto alla sola responsabilità della direzione sanitaria della struttura ma a un concorso di colpe ed omissioni, per così dire “superiori”, su cui varrebbe la pena riflettere, come cercherò di fare più avanti, in modo serio.
Tanti sembrano oggi consapevoli di quanto sia inaccettabile che in una fase di graduale superamento della curva di contagio da Covid-19 continuino ad essere trascurate le drammatiche condizioni in cui vivono moltissime famiglie e tantissimi disabili. Le prime letteralmente abbandonate a se stesse, stante la lunga chiusura di centri diurni e scuole; i secondi, soprattutto adulti, impossibilitati fino a pochi giorni fa a incontrare i loro cari (ammesso che ora si possa parlare di incontri…) per effetto di disposizioni tanto più incomprensibili perché accomunano le RSA alle RSD (quasi come se un trentenne disabile, che vive in una comunità alloggio o in un centro residenziale accreditato per l’autismo, come in questo caso, fosse portatore del medesimo rischio di salute di un ottantenne con pluripatologie..
Alla luce di questa presunta consapevolezza pongo due domande: 1) è ammissibile che i Comuni continuino a ritardare l’apertura di molti centri diurni, incuranti delle ripercussioni che ciò comporta anche per i familiari? 2) è’ tollerabile che le Regioni omettano di dare disposizioni vincolanti alle RSD, assimilandole in modo ibrido e innaturale alle RSA,, con l’appendice di Direzioni Sanitarie allineate e appiattite su una linea di isolamento sociale e di drastica riduzione delle attività che sono esattamente l’antitesi di un corretto approccio all’autismo? Non occorre molta immaginazione nel pensare che quello delle Direzioni Sanitarie delle residenze rappresenta solo il tentativo di sottrarsi a responsabilità che mai accetterebbero di assumersi perché, e non hanno torto, sono in capo alle Regioni.
In attesa che questo palleggiamento, questo gioco del cerino acceso, che passa di mano in mano, termini, c’è da chiedersi che fine abbiano fatto i mitici comitati scientifici, i grandi professoroni, i tecnici illuminati della salute e dell’educazione speciale, persino i guru dei social abituati a pontificare. Mai letta una loro dichiarazione, fosse solo di larvata presa di distanza. E le associazioni? Sia le vecchie che le “nuove” si sono limitate alle solite dichiarazioni di intenti e in qualche caso alla pubblicazione di articoli sicuramente condivisibili ma la cui ricaduta, da sola, non poteva che rivelarsi insufficiente. Nè destino migliore c’era da spettarsi dalla stesura di pletorici documenti indirizzati alle massime cariche istituzionali rimasti, infatti, lettera morta, carta straccia che ha reso stracolmi i già pieni cestini di funzionari e portaborse.
Si sarebbe potuto fare di più? Probabilmente si. Faccio questa affermazione con la consapevolezza che nessuno ha la verità in tasca ma con la certezza che i settarismi e le divisioni non giovano ad alcuno tranne che alla controparte. Dalle colonne della mia pagina Facebook ho continuamente lanciato appelli ad iniziative unitarie tra le associazioni e i movimenti: tutti, sempre, regolarmente disattesi. La ragione, io penso, è che ognuno tende a marcare il proprio territorio, impedendo all’altro di avvicinarsi per non compromettere rendite di posizione acquisite o da acquisire. Davanti a questo atteggiamento ho persino provato ad assumere in prima persona qualche iniziativa, pur sapendo che c’è una bella differenza tra farlo in qualità di singolo genitore e proporlo invece come associazione. O no?
Tre, secondo me, erano, e restano, i livelli di gestione possibili di una fase così delicata e complessa. Quello istituzionale (intendo gli incontri con Servizi e Istituzioni locali e nazionali, volti all’emanazione di provvedimenti finalmente significativi); quello di una mobilitazione nelle piazze, quello legale. Esaurito il primo (con un esito a dir poco insoddisfacente, checché ne dicano le dichiarazioni trionfaliste di alcune organizzazioni nazionali, tipo Fish e/o Anffas) rimanevano gli altri due. Ci sono stati alcuni flash mob e iniziative sul territorio che non hanno però avuto il risalto e la continuità necessarie, soprattutto in assenza del sostegno delle associazioni maggiori, vecchie e “nuove”, sempre timorose di esporsi. Peccato, perché in compenso le istituzioni, sotto la pressione delle lobby, non si sono fatti scrupolo di assicurare nel frattempo la ripresa del campionato di calcio, delle palestre, delle discoteche, di quasi tutte le attività produttive. Sono rimasti fuori e calpestati – come sempre – solo i diritti delle persone disabili.
A questo punto non restava che giocare l’ultima carta: l’azione legale.
Ed ecco sulla mia pagina il post pubblicato il 9 giugno (https://www.facebook.com/autismoIN/posts/2993032437449827?__tn__=K-R ) di cui riporto uno stralcio: “Vi chiedo di ragionare sulla fattibilità di costruire un percorso che preveda la presentazione di una lettera/notifica al centro diurno/residenziale (in cui si chiede la riapertura), e la successiva denuncia all’ASL, alla Regione e al Governo in caso di risposta evasiva. Per avviare questo iter (parlo dell’istanza iniziale della famiglia al centro diurno/residenziale) è opportuno utilizzare un modello di azione legale comune a tutti, previo conferimento di un mandato ad hoc. Potremmo perciò metterci in contatto con un avvocato che si è già dichiarato disponibile a darci una mano gratuitamente. Io potrei fornirvi la mail di una mamma molto impegnata su questo versante, a cui chiedere ulteriori indicazioni, che potreste contattare anche via Messenger (è madre di un figlio autistico)”.
Invito ora a rileggere in particolare il paragrafo: “Potremmo metterci in contatto con un avvocato che si è già dichiarato disponibile a darci una mano gratuitamente”. Riscrivo qui l’ultima parola con le maiuscole: GRATUITAMENTE.
Vi do dei dati: il post (sulla sola mia pagina) è stato raggiunto da 12555 persone, ha goduto di 1150 interazioni, 140 “mi piace”, 49 commenti, 64 condivisioni. Personalmente ho ricevuto una valanga di consensi tramite whatapp e messenger. Ma il risultato finale, in definitiva l’unica cosa che contava, qual è stato? Non hanno risposto più di dieci persone all’appello volto ad avviare l’azione legale. Persino chi, con me, ha promosso l’iniziativa si è defilato il giorno dopo, lasciandomi solo (per fortuna non la mamma di cui avete letto): vergogna! Non mi è rimasto che ringraziare il legale per la vicinanza e la solidarietà e… “scusarmi” con lui (anzi: con lei, visto che è una donna).
A questo punto consentitemi una domanda e una brevissima risposta: “Davanti a una realtà così drammatica, qual è quella che attraversiamo, che senso ha limitarsi a cliccare un banale “mi piace”? Che senso ha esprimere totale apprezzamento per un’iniziativa se poi non si fa nulla per farla andare avanti? Che senso ha lamentarsi di questo e di quello senza assumere un comportamento coerente, a cominciare dal coraggio di metterci la faccia in prima persona?”. La mia risposta è: “Non ha nessun senso”! Siamo davanti al solito deja vu, a uno squallido “armiamoci e partite” che segna la nostra ennesima occasione perduta. La verità è che noi, ciascuno di noi, siamo responsabili – con i nostri silenzi – di avallare le scelte becere della politica e quelle opportuniste di un sistema che va molto oltre la politica. Molto più giusto, anche se più difficile, sarebbe contare su meno “mi piace” e su più persone in carne e ossa che comprendono il bisogno di unirsi nella lotta per sconfiggere l’ignavia di un sistema.
Questo è il mio pensiero, queste sono le cose che mi sono passate per la mente l’altra sera mentre, umiliato e deluso, rientravo a casa dopo aver visto per mezz’ora mio figlio. Di fianco a me osservavo macchine e pedoni: si recavano allegramente in centro, dove a ridosso di mezzanotte ci sarebbero stati i festeggiamenti per San Giovanni, patrono della città di Torino. Domani leggeremo la solita ridicola condanna del governatore del Piemonte e quella del sindaco di Torino per gli immancabili assembramenti, ma domani si sa… è un altro giorno, per lo meno lo è per i “normali”. Mentre guidavo ho scorso gli istanti in cui mio figlio mi ha sorriso nel vedermi, poi quelli in cui malinconicamente ha visto la mia macchina allontanarsi. Mi sono asciugato gli occhi.
ADHD e autismo sono due disturbi distinti dello sviluppo neurologico che possono condividere alcuni sintomi. Esistono delle differenze chiave, e una persona può avere entrambe le condizioni.
Cos’è l’ADHD?
L’ADHD (ovvero “attention deficit hyperactivity disorder”) è un disturbo comune dello sviluppo neurologico. Secondo l’Associazione Psichiatrica Americana (APA), l’ADHD colpisce circa l’8,4% dei bambini e il 2,5% degli adulti. Nello specifico, I medici la diagnosticano più spesso nei maschi che nelle femmine.
I bambini con ADHD hanno difficoltà con l’attenzione, l’iperattività e il controllo degli impulsi. Possono avere difficoltà a concentrarsi, a stare fermi o a pensare prima di agire.
Esistono tre sottocategorie di ADHD:
disattento
iperattivo-impulsivo
combinato
I sintomi dell’ADHD possono migliorare con l’avanzare dell’età ed i pazienti possono acquisire maggiore concentrazione e controllo sui loro impulsi.
Cos’è l’autismo?
Il disturbo dello spettro autistico influenza la comunicazione sociale e l’interazione di una persona in vari contesti. Non esiste una cura, ma il trattamento può aiutare le persone a fare progressi nei settori che trovano impegnativi.
La “American Autism Association” riferisce che l’autismo appare tipicamente prima che il bambino raggiunga l’età di 3 anni e che è cinque volte più probabile che si sviluppi nei maschi che nelle femmine.
ADHD e Autismo
A volte è difficile capire la differenza tra autismo e ADHD, soprattutto nei bambini più piccoli. Ecco come distinguere i sintomi delle due condizioni:
Attenzione
I bambini con ADHD, spesso, hanno difficoltà nel prestare attenzione, soprattutto in intervalli di tempo troppo prolungati e possono distrarsi facilmente.
I bambini autistici possono avere un interesse limitato. Possono sembrare ossessionati da cose che apprezzano e hanno difficoltà a concentrarsi su cose che non gli interessano. Sono in grado di ricordare facilmente fatti e dettagli, e alcuni riescono ad eccellere in matematica, scienze, musica o arte.
Risulta essere più immediato individuare questi segni mentre il bambino svolge dei compiti. Un bambino con ADHD potrebbe non essere in grado di prestare attenzione a qualsiasi argomento. Un bambino autistico può avere un alto livello di attenzione sui suoi argomenti preferiti, ma potrebbe non essere in grado di impegnarsi in argomenti che lo interessano meno.
Comunicazione
Le difficoltà di comunicazione sono caratteristiche per lo più dell’autismo. Tuttavia, anche alcuni bambini con ADHD hanno queste stesse difficoltà, ma in genere si presentano in modi diversi.
I bambini con ADHD possono:
parlare continuamente;
vogliono avere l’ultima parola;
ignorare l’influenza delle proprie parole sulle altre persone;
interrompere gli altri.
I bambini autistici possono:
avere difficoltà nell’esprimere le loro emozioni e i loro pensieri;
non usare gesti per comunicare;
avere difficoltà nel mantenere il contatto visivo;
fissarsi su un argomento di conversazione;
giocare in modo diverso (potrebbero non capire il gioco a turni o quello di fantasia)
non avviare o rispondere alle interazioni sociali.
Routine e struttura
I bambini con ADHD possono annoiarsi rapidamente con una struttura che trovano poco interessante, compresa quella della classe. Senza varietà, possono anche perdere interesse per le attività.
Al contrario, i bambini autistici spesso dimostrano una forte omogeneità, volendo aderire a routine o a modelli ritualizzati di comportamento verbale o non verbale. I cambiamenti possono causare turbamento e irritabilità.
C’è una relazione tra autismo e ADHD?
C’è una certa somiglianza tra i sintomi dell’autismo e dell’ADHD, ed è possibile avere entrambe le condizioni.
Il CDC (Centers for Disease Control and Prevention) stima che il 14% dei bambini con ADHD negli Stati Uniti hanno anche un disturbo dello spettro autistico. Altre ricerche collocano questo numero al 15-25%.
I ricercatori non comprendono appieno le cause di entrambe le condizioni, anche se probabilmente i fattori genetici giocano un ruolo in entrambe.
La diagnosi di ADHD
La diagnosi di ADHD, si basa sui sintomi che sono stati presenti negli ultimi 6 mesi. Se un medico sospetta l’autismo, può esaminare il comportamento e lo sviluppo del bambino negli anni precedenti.
Tuttavia, In entrambi i casi, possono richiedere l’intervento degli insegnanti e dei caregivers, così come quello dei genitori.
Il medico inoltre, intende escludere le condizioni che possono causare sintomi simili a quelli dell’autismo o dell’ADHD. Questi problemi includono:
problemi di udito
difficoltà di apprendimento
disturbi del sonno
Secondo uno studio del 2010 che ha esaminato i dati di oltre 2.500 bambini autistici negli Stati Uniti, l’83% di questi aveva almeno un altro disturbo dello sviluppo, mentre il 10% presnetava almeno un disturbo psichiatrico.
Il trattamento
Il trattamento varia a seconda del bambino, dei suoi sintomi e della presenza di altre condizioni. Alcuni trattamenti per l’autismo e l’ADHD includono:
terapia comportamentale
farmaci
Inoltre, i bambini autistici possono beneficiare di ulteriori forme di terapia, a seconda delle loro esigenze. Alcune opzioni includono:
consulenza
interventi educativi
terapia occupazionale
integrazione sensoriale
logopedia
In fine, la formazione e l’istruzione possono anche consentire ai genitori e a chi si prende cura dei bambini di gestire meglio i loro sintomi.
Qui di seguito l’intervento della dott.ssa Carolina Coco e dott. Francesco Campanella dell’Università degli Studi di Trento sul tema della comunicazione nell’autismo attraverso l’utilizzo della comunicazione aumentativa alternativa.
Qui di seguito l’intervento della dott.ssa Arianna Bentenuto dell’Università degli Studi di Trento sul tema trattamenti intensivi prescolari per autismo e l’efficacia degli interventi domiciliari.
Qui di seguito l’intervento del dott. Stefano Cainelli dell’Università degli Studi di Trento sul tema dei fratelli e sorelle. Quali sono le difficoltà e rischi nella crescita e quale supporto bisogna garantire
Qui di seguito l’intervento della Dottoressa Arianna Bentenuto dell’Università degli Studi di Trento sul tema dei trattamenti nei disturbi dello spettro autistico.
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