A Rovereto un nuovo centro per l’autismo nascerà dalla collaborazione tra la Cooperativa sociale il Ponte e il Laboratorio di Osservazione e Diagnostica Funzionale dell’Università di Trento
Nel corso del 2014, a Lizzana, frazione del comune di Rovereto in provincia di Trento, la Cooperativa Il Ponte inaugurerà una nuovo centro educativo.
La costruzione di questo edificio è parte di un piano di sviluppo portato avanti con caparbietà — dal 2009 che ha voluto mettere al centro un nuovo disegno dei servizi offerti dalla cooperativa e che trova ora la sua prima concretizzazione. La nostra priorità è—– quella di implementare e sperimentare un nuovo modello di offerta, che dovrà rispondere in modo più flessibile, prossimo e competente ai bisogni espressi dalle famiglie ; sarà inoltre implementato con maggior efficacia un modello di presa in carico di persone autistiche adolescenti ed adulte.
La Cooperativa sociale Il Ponte, insieme all’Università di Trento – Dipartimento di scienze della cognizione e formazione – per mezzo del Laboratorio di Osservazione e Diagnostica Funzionale dell’Università di Trento, ha intenzione di continuare sulla strada dell’intervento educativo a favore di persone affette da autismo e disturbi pervasivi dello sviluppo, una strada questa che sta percorrendo da più di quindici anni. In tutto questo tempo è stato possibile raccogliere motivanti successi e utilissimi insuccessi, che hanno comunque aiutato a calibrare meglio il lavoro ed affinare le metodologie già sperimentate. E’ stato interessante, dopo più di un decennio, dedicarsi ad una sorta di bilancio, facendo anche una riflessione su come e con chi percorrere la strada già iniziata.
Che tipo di progettualità, dunque? Che tipo di offerta – congruente nei confronti della ricerca scientifica e soprattutto utile e dignitosa per le persone – è possibile nei confronti delle persone affette da disturbo dello spettro autistico?
Un modello che si è strutturato nel tempo secondo criteri di specializzazione, di competenza e di abilità affrontando la complessità generata dalle peculiari problematiche di questo disagio: difficoltà di regolazione emotiva, deficit gravi a livello comunicativo, cognitivo e relazionale. Sotto questo profilo la proposta di interventosi articola su diversi livelli in modo da garantire una progettualità multidimensionaleche tenga conto delle diverse esigenze connesse alla valorizzazione della personanella sua totalità.
L’idea che Il Ponte propone, per rispondere ai bisogni delle famiglie con problematiche legate all’autismo, nasce dalla consapevolezza che solo una rete di relazioni complessa ma articolata tra gli attori del sistema delle politiche sociali ed i fruitori dei servizi può creare le condizioni per progetti individualizzati con esiti positivi. Ci sembra necessario Partire da un patto fondativo dove la comunità sia rappresentata nelle sue parti istituzionali e sociali può certamente considerarsi un punto di incontro nel quale definire compiti e ruoli degli attori, ognuno con la propria specificità.
Questo pilastro fondante si basa sull’esperienza maturata e sulla letteratura oggi disponibile. Il punto di partenza può considerarsi la convinzione che la cura dell’autismo non ha aspetti riferibili al concetto di guarigione, ma piuttosto ci si può aspettare cospicui miglioramenti nelle aree compromesse e nella qualità di vita, a patto che si tenga conto della sua particolarità e della sua evoluzione. L’autismo è una condizione molto grave e soprattutto cronica, long life, ossia che dura per l’intero ciclo di vita e, come vedremo più avanti, non è una patologia paragonabile a nessun altra.
Ciò significa che l’intervento educativo deve essere assolutamente specifico e svolto da persone preparate ad hoc, intendendo con ciò, la priorità della specializzazione riferita non solo alle professionalità in gioco, ma anche con riferimento a tutti gli attori del sistema e dei luoghi dove le persone autistiche sono inserite, considerando la vita di relazione un punto essenziale, denso di problematicità e implicazioni a più livelli.
La Cooperativa sociale Il Ponte vorrebbe intraprendere un percorso che contempli una progettualità connotata da alcuni imprescindibili punti fermi: il collegamento con l’Università, una relazione forte con il servizio sociale e l’istituzione pubblica per creare condizioni tali per cui i progetti possano essere realizzati, monitorati e valutati, una condivisione con le famiglie per un loro sostegno e supporto ed il confronto sui progetti, numerose e forti connessioni con il territorio in modo tale che la comunità sia consapevole delle sue espressioni concrete di solidarietà.
Si ritiene dunque fondamentale continuare a costruire, anche assieme ad altri partner istituzionali in una prospettiva di allargamento della rete degli attori coinvolti, delle cornici progettuali lungimiranti, di largo respiro, all’interno delle quali, per esempio, un bambino possa fare un percorso scolastico dignitoso e fatto di vera integrazione, in cui un adolescente possa fare gruppo con altri coetanei o sperimentarsi in percorsi occupazionali, così come un adulto. Fondamentale è cogliere il bisogno proprio della persona, del periodo del ciclo di vita che sta attraversando e, attraverso specifici interventi, permetterne la soddisfazione. L’impegno è focalizzato a determinare i presupposti che permettano all’educatore di declinare la propria competenza non solo nel contesto del centro diurno e dei suoi spazi, ma anche in quelli molto diversi della scuola o della famiglia, realtà entrambe portatrici di bisogni eterogenei e ineludibili in relazione alla peculiarità di una persona con autismo.
Un modello di presa in carico dei bisogni della persona che si riferisce ad una comunità curante, dove diversi attori contribuiscono alla costruzione di una rete di relazioni in grado di sostenere processi di cambiamento adottando specifiche metodologie in coerenza con i bisogni. Il criterio della specializzazione visto come chiave di lettura del bisogno e come bussola per l’implementazione di interventi efficaci.
L’approccio che in queste righe ho descritto con entusiasmo troverà nella fondamenta del nuovo edificio lo slancio per radicarsi sul territorio. Nei primi mesi del 2014 o si concluderà la parte esecutiva dei lavori edili, ma ciò che per noi conta è il fatto che in questo tempo un’idea abbia preso forma e consistenza, un’idea che raccoglie i frutti di semi sparsi nel tempo perché potessero dare frutto, che valorizzerà i legami che in questi anni abbiamo stretto e coltivato, in particolare con il Laboratorio Universitario della prof.ssa Paola Venuti, un’idea che potrà così vedere la sua realizzazione.
Il luogo dove si vive, dove si lavora, dove ci si diverte, dove si stringono nuovi legami e si sedimentano quelli vecchi è un luogo fisico. Nel caso della nostra cooperativa un edificio diventa visivamente una metafora per pensare al futuro. Un compito particolarmente difficile, ci rendiamo conto, in un tempo dominato dall’incertezza, dall’insicurezza sul futuro e da una pervasiva sensazione che lo scenario futuro sia contraddistinto da dinamiche di ridimensionamento, di riduzione, da limiti più o meno imposti.
Per rimanere in metafora il perimetro, i muri, le stanze, della nostra nuova casa ne determineranno esclusivamente una suddivisione fisica dello spazio mentre i contenuti delle progettualità saranno pensati e ideati secondo quanto ci indicheranno le persone che ne fruiranno, le loro biografie scolastiche, le loro predisposizioni, i loro desideri, con un fine preciso: garantire l’espressione della loro creatività, l’inclusione e la sostenibilità del progetto complessivo.
A questo proposito, Ballerini (2006) ribadisce che “L’autismo non può essere ‘adattato’ alle condizioni della normale socialità. E’ semmai il mondo che deve adattarsi a lui, rispettarne le singolari caratteristiche, l’enigmatica e paradossale richiesta che rivolge. Richiede contesti adatti. Richiede contesti ricchi di possibilità e stimoli significativi, ma non confusi, non frammentati, in cui non si faccia troppo conto sulle virtù spontaneamente riparatrici del ‘sociale’, ma la socialità venga invece pazientemente alimentata e facilitata […]. Richiede contesti in cui il problema della comunicazione con la persona autistica sia al centro di ogni intervento e di ogni momento della vita collettiva; contesti in cui si rispettino pause, tempi, silenzi, chiusure”.
Crediamo fermamente che lo scopo di tutto il lavoro che la Cooperativa svolge nei confronti delle persone affette da autismo non riguardi esclusivamente la persona, ma coinvolga direttamente tutto il contesto familiare. Il sollievo, il supporto, il sostegno sono pratiche di solidarietà concreta nei confronti di famiglie con un carico psicofisico spesso gravoso riconducibile alla gestione di figli così problematici. “C’è sempre un maggior numero di prove che indicano che le malattie croniche e la disabilità hanno un’influenza negativa sulle famiglie e sul funzionamento famigliare” (Williams e Bond, 2002). Inoltre, una persona con diagnosi di autismo all’interno della famiglia “può rappresentare una fonte di stress sull’unità della famiglia, dal momento che ne vengono colpiti non soltanto i caregiver ma anche gli altri fratelli e le relazioni tra i membri della famiglia” (Sanders e Morgan, 1997).
Il Ponte impegnandosi per la realizzazione di una nuova sede dedicata all’autismo ed alle problematiche complesse riconducibili allo spettro autistico vuole testimoniare come la specializzazione maturata in questi anni di intensa esperienza possa tradursi in una realtà educativa e riabilitativa contraddistinta dalla contaminazione, dall’intreccio, dalla mescolanza delle competenze, non solo della comunità curante, ma anche delle famiglie e delle persone che abiteranno quel luogo. Una dinamicità formale solo nell’intento che dovrà plasmarsi nel tempo con modalità che sappiano intercettare il cambiamento e l’innovazione metodologica connettendola con la pratica quotidiana e con i progetti di vita delle persone.
Il disegno complessivo, che abbraccerà tutte le attività rivolte all’età evolutiva, all’adolescenza ed agli adulti, sarà tracciato tenendo conto di criteri che riguardano essenzialmente le potenzialità in capo al singolo in modo da poterle valorizzare.
Nel caso della Cooperativa, la valutazione testistica che il personale del Laboratorio di Osservazione e Diagnostica Funzionale dell’Università di Trento effettua alla persona mira, al di là della diagnosi (che al momento dell’inserimento è solitamente già stata appurata) a costruire un quadro globale della persona valutata, che dia modo di riconoscerne le potenzialità e i vincoli negli ambiti affettivo-relazionale, cognitivo, comportamentale. Per completare e arricchire tale quadro, oltre ai test (che si esprimono in termini di Quoziente Intellettivo o Quoziente di Sviluppo) si affiancano scale per la misura del comportamento adattivo (come le Vineland Adaptive Behaviour Scales, che richiedono la raccolta di informazioni direttamente dagli educatori o dalle famiglie), oltre ad osservazioni sistematiche e in itinere raccolte talvolta tramite apposite griglie di osservazione (Scheda Osservativa per la valutazione delle Funzioni di Base in soggetti autistici). I dati che provengono dalle valutazioni testistiche e dalla valutazione del comportamento adattivo tramite la scala Vineland vengono incrociati vengono poi riassunti e schematizzati nel PEI (Progetto Educativo Individualizzato) che riporta la diagnosi funzionale, i punti di forza e di debolezza, gli obiettivi su cui si intende lavorare, le attività ed i laboratori da attivare per raggiungerli e soprattutto con quale metodologia o strategia relazionale. Il PEI serve poi all’educatore come strumento-bussola per orientare il proprio lavoro con quel determinato utente, costruendo per lui una proposta utile e coerente.
Oltre ad obiettivi specifici legati alle particolari caratteristiche emotive e cognitive di un preciso soggetto in un particolare periodo, gli obiettivi (di sviluppo o mantenimento) trasversali e generali perseguiti per questo tipo di utenza (tutti comunque nella direzione di migliorarne la qualità di vita) riguardano le seguenti aree: socialità e aspetti relazionali, abilità sociali e di interazione con altre persone; comunicazione coerente con le caratteristiche strutturali del soggetto e delle sue modalità anche non verbali; regolazione emotiva e riduzione di stati ansiosi; autonomia intesa come globale potenziamento delle abilità residue del soggetto anche in termini di autodeterminazione e scelta; campo di intessi e ampliamento di esperienze e situazioni.
Per quanto riguarda i trattamenti, “attualmente si ritiene che non esista un unico trattamento che risponda al disturbo dell’autismo […]. E’ di fondamentale importanza, per quel che riguarda l’intervento con soggetti autistici, partire dalla multicausalità dei disturbi generalizzati dello sviluppo ed essere coscienti che la patologia si manifesta con sintomi e comportamenti differenti a seconda dell’epoca di insorgenza. Per questi motivi non bisogna considerare un’unica tecnica come valida modalità per il trattamento, ma piuttosto concepire l’intervento come un progetto che inizia con la diagnosi e lo studio approfondito di un caso e arriva all’applicazione successiva di diversi metodi e tecniche, in base ai punti di partenza e agli obiettivi raggiunti e quelli da raggiungere” (Venuti, 2003).
Ballerini (Ballerini et al, 2006), riassume così la questione sui trattamenti, le cure, le metodologie: “Se c’è un insegnamento che proviene dallo studio accurato della letteratura sull’evoluzione dell’autismo nel corso della vita, da un’esperienza prolungata con il mondo autistico e da quanto si sa su questa particolare forma di esperienza, è che occorre spostare l’attenzione dalle ‘tecniche’ di intervento terapeutico o psicoeducativo (che ovviamente vanno conosciute e utilizzate consapevolmente, ma che comunque incontrano importanti limiti) all’organizzazione complessiva dei contesti di intervento e di vita, per renderli adatti alle caratteristiche dell’autismo, attraverso una cura costante della loro strutturazione, coerenza, comprensibilità”.
Nel tempo la Cooperativa ha fatto sua questa importante lezione. Non si utilizza massivamente una tecnica specifica semplicemente perché, alla luce di quanto detto, sarebbe semplicistico e riduttivo sul piano scientifico, oltre che inutile su quello clinico. Tuttavia, alcune modalità di contatto tra educatori e utenti o alcuni accorgimenti utilizzati nella quotidianità, possono ricordare specifiche tecniche, senza che queste diventino però le uniche e sole. Per esempio, il continuo, profondo e trasversale tentativo da parte dell’educatore di stabilire ed ampliare un contatto relazionale e comunicativo con l’utente può ricordare da vicino il metodo Floor Time (Greenspan, 2005; Greenspan, 2007); la strutturazione sequenziale di alcune attività complesse o momenti particolari rimanda alla tecnica TEEACH (Schopler, 1991), e così via.
La sostanza di cui si nutre quest’idea di ricerca, di nuove e migliori piste di lavoro quotidiano, è proprio il connubio tra l’umano e l’elaborazione di quest’esperienza. E’ in questo spazio tra relazione e approfondimento che si svolge il gioco delle parti fra i tanti attori coinvolti in questo progetto, ognuno con la propria identità: la formazione, la consapevolezza del ruolo, la supervisione sul caso, la disponibilità a mettersi in gioco, il coinvolgimento, il dialogo e l’ascolto fra attori.
Sotto questo profilo di senso è fondamentale che la diversità, sentita come un valore aggiunto ed intesa come storia, individuale e di gruppo, portatrice di risorse complementari, sia generatrice di azione e pensiero sia nel breve che nel lungo periodo.
L’alleanza scuola, famiglia, servizi specialistici e di ricerca, è certamente la prima saldatura dalla quale può discendere la robustezza di un percorso costruito nell’età evolutiva che ponga le basi per affrontare l’età adulta con una traccia fondata e fondante in questo lavoro. Al contrario la diversità, non considerata un valore in quanto un’espressione di unicità e una ricchezza genera una conflittualità sterile.
L’approccio pedagogico che guiderà la progettazione delle attività nel nuovo spazio presuppone quindi la generazione di connessioni tra le relazioni umane, la specializzazione metodologica e le situazioni pratiche. Immaginiamo una casa dove le porte siano solo fisiche, non chiuse di fronte al mondo, dove si possano creare correnti di aria fresca che aiutino le persone che la abitano a renderla permanentemente un luogo vitale e carico di energia positiva dove la creatività e le relazioni umane sappiano provocare la quotidianità reiventandola.
A presto per l’inaugurazione.
di Filippo Simeoni – direttore della Cooperativa il Ponte