Solo 60 anni fa l’impossibilità ad esprimersi con il linguaggio orale era considerata un sintomo naturale di una malattia e ne indicava la presenza, il peggioramento, la gravità. Non si tentava di ridurre il sintomo e l’obiettivo di migliorare la qualità della vita non era assolutamente preso in considerazione.
Quando alcune persone, alcuni anni dopo, hanno sentito questa esigenza, gli sforzi riabilitativi sono andati nella direzione del ripristino del linguaggio orale con risultati spesso frustranti.
La nascita della CAA
I primi semi per il futuro della CAA sono stati gettati negli anni ‘50. Pionieri in questo campo sono state le persone con grave deficit comunicativo e chi li assisteva. Sono stati loro ad utilizzare per primi tabelle di comunicazione con lettere, simboli, immagini.
Michael Williams, persona con complessi bisogni comunicativi, racconta che nei suoi primi anni comunicava con suoni comprensibili solo ai suoi genitori.
In seguito, per farsi comprendere anche da persone esterne all’ambiente familiare, tracciava dei gesti nell’aria come per scrivere parole. Fino a quando un collega stanco di vederlo gesticolare nell’aria, gli portò una tabella alfabetica, tabella che diede inizio per lui ad una nuova vita.
Tra gli anni ‘50 e ‘70 il progresso delle cure mediche e riabilitative portò ad un aumento di casi di bambini sopravvissuti a nascite premature e di adulti sopravvissuti a ictus, traumi, malattie. Per molti di loro residuavano come postumi, situazioni di grave disabilità motoria e impossibilità a comunicare attraverso il linguaggio orale. Pochi riabilitatori, andando contro corrente, iniziarono a suggerire modi aumentativi per favorire la comunicazione e iniziarono a diffondere i risultati di queste esperienze.
I primi casi di disturbi linguaggio e comunicazione
I primi casi documentati si riferivano a soggetti afasici o affetti da Paralisi Cerebrale Infantile. Bisogna considerare comunque che, malgrado queste eccezioni, i riabilitatori continuavano a privilegiare un approccio oralistico e continuavano a non consigliare il linguaggio dei segni ai sordi, che pur lo usavano nelle loro comunità.
Tra il 1960 e il 1970 si iniziò a non nascondere più la disabilità. John Kennedy e altri personaggi famosi iniziarono a rendere noto che avevano parenti con deficit comunicativi, ciò portò ad una prima iniziale accettazione della disabilità e, quindi, di modalità di comunicazione diverse dal linguaggio orale. Le comunità di sordi anticiparono questo processo di legittimazione di un linguaggio alternativo, esigendo il diritto di essere educati utilizzando il linguaggio dei segni.
Secondo alcuni, gli studi sull’apprendimento di simboli grafici da parte di scimpanzè avrebbe aperto la strada all’idea di proporre simboli grafici a persone con gravi deficit comunicativo e motorio.
Le maggiori capacità prognostiche rispetto ad un utilizzo funzionale del linguaggio orale hanno certamente contribuito a far cessare veri accanimenti terapeutici da parte di logopedisti e a giustificare approcci diversi.
All’ospedale universitario di Jowa City dal 1964 al 1974 venne condotto un primo programma di C.A.A. rivolto a bambini con Paralisi Cerebrale Infantile. Nel frattempo si sviluppava anche l’idea che la tecnologia potesse aggirare la disabilità comunicativa e venivano usate per la comunicazione macchine da scrivere adattate.
Il primo ausilio tecnologico per la CAA
Il primo ausilio tecnologico specificatamente dedicato alla comunicazione è stato il POSSUM (Patient Operated Selection Mechanism) finanziato dal Polio Research Foundation, usato poi fino alla fine degli anni ‘70.
Vennero sviluppati, soprattutto nel Nord Europa, molti altri ausili che erano però accessibili solo a chi aveva acquisito il codice alfabetico. Molti pesavano fino a 7 kg. e certamente non erano di facile uso nella vita quotidiana.
Nel 1971 Shirley Mac Naughton, con un gruppo di colleghi, avviò a Toronto – Canada – presso l’ Ontario Crippled Children Center un progetto di ricerca, utilizzando i simboli grafici (Blissymbolics) che Charles Bliss aveva inventato con l’intenzione di farne un linguaggio universale per eliminare le barriere e le guerre tra i popoli. Tali simboli, basati sul significato e non sulla fonetica, venivano appresi con facilità anche da chi non riusciva ad acquisire il codice alfabetico e permettevano l’espressione di concetti anche molto sofisticati. I risultati furono entusiasmanti e i simboli Bliss vennero diffusi rapidamente in tutto il mondo.
Per molti anni Blissymbolics è stato il principale sistema grafico utilizzato nel mondo. Prendendo spunto dalle sue caratteristiche e dal suo utilizzo, sono stati via via creati altri sistemi simbolici per specifiche esigenze e categorie di disabilità nella comunicazione.
La diffusione di questi sistemi simbolici ha contribuito ad accelerare il processo di strutturazione di questo nuovo campo clinico, che emergeva sempre di più come un’area specialistica; venivano pubblicati libri, articoli, test, venivano tenute relazioni a convegni e conferenze, organizzati corsi di formazione e attivate presso numerose sedi universitarie del Nord America e del Nord Europa le prime ricerche in campo clinico e tecnologico.
Shirley Mac Naughton ha creato un’organizzazione, il Blissymbolics Communication Institute, successivamente rinominato Blissymbolics Communication International – BCI – (tuttora impegnato nella creazione di nuovi simboli), che ha prodotto una grande quantità di documentazione, libri, materiale d’uso e anche i primi software con simboli. Presso il BCI sono stati organizzati corsi di formazione, frequentati da centinaia di persone provenienti da tutto il mondo. I corsi non riguardavano solo il sistema grafico Bliss, ma il suo utilizzo pragmatico: non veniva cioè proposto solo un metodo, ma un approccio all’interno del quale gli strumenti e i sistemi grafici trovavano una loro indicazione.
Un approccio funzionale per facilitare la comunicazione delle persone non parlanti attraverso modalità non orali, fu considerato legittimo solo verso la fine degli anni ‘70. Una legge americana del 1975 che riconosceva il diritto all’educazione per tutti i bambini con disabilità, e quindi il loro diritto a vivere nella comunità, diede ancora più forza a questa corrente di pensiero riabilitativo anche se molti professionisti continuavano a sostenere che l’uso di modalità diverse sarebbe andato a detrimento di un possibile emergere del linguaggio orale. Tale pregiudizio è ancora presente, come già detto, non solo in molti genitori ma anche in molti operatori della riabilitazione.
Ricerche di questo periodo nel campo della linguistica e dello sviluppo del linguaggio nel bambino, aggiunsero nuovi stimoli a questo approccio alla comunicazione. Molti ricercatori si concentrarono maggiormente sulla funzione anziché sulla forma dell’atto comunicativo e quindi il linguaggio incominciò ad essere visto come un mezzo per raggiungere il fine della comunicazione.
L’evoluzione della logopedia con la CAA
Le terapie logopediche iniziarono quindi a virare dal solo obiettivo di instaurare o ristabilire un linguaggio orale a quello di migliorare la comunicazione con tutti i codici e le modalità possibili. Ciò veniva sostenuto da F. Silverman nel libro “Communication for the Speechless”, tradotto in italiano su iniziativa del Prof. O. Schindler, che primo in Italia affermava l’importanza di migliorare la comunicazione di chi presentava carenza o assenza di linguaggio orale attraverso tutte le modalità possibili.
Dall’inizio degli anni ‘80 iniziarono ad essere pubblicati casi di persone che attraverso programmi di comunicazione, riuscivano a migliorare la qualità delle loro vite. Tali programmi venivano comunque sempre implementati dopo il fallimento di forme tradizionali di terapie del linguaggio.
Nel 1980 e nel 1982 a Toronto si tennero le prime conferenze internazionali sulla “Comunicazione non orale” . Nel corso della conferenza del 1982 venne presa la decisione di creare un’organizzazione esclusivamente dedicata a questo campo clinico. Nel 1983 professionisti di 25 paesi del mondo fondarono a New Lansing (Michigan – USA) l’International Society for Augmentative and Alternative Communication (ISAAC) e decisero di chiamare l’area di interesse Augmentative and Alternative Communication. In questa sede venne raccomandato di utilizzare il termine derivato dal verbo “to Augment”, cioè aumentare, in tutte le lingue dove ciò fosse possibile. Il termine “Aumentativa” doveva chiarire come l’obiettivo dell’intervento dovesse essere quello di incrementare le capacità comunicative esistenti.
In quel periodo il Personal Computer divenne per le persone con disabilità comunicativa una realtà e così pure gli ausili con uscita in voce sintetica o in stampa, perché diventavano sempre più piccoli e maneggevoli. Questi progressi tecnologici sono stati favoriti dalla cooperazione di persone di paesi differenti e provenienti da diverse discipline. In quegli anni i progressi nell’area della tecnologia erano quelli che più sembravano connotare il campo della C.A.A.
Come spesso succede, il grande entusiasmo per la tecnologia portò a considerare gli ausili soluzioni per tutti i problemi; ci volle molto tempo per capire che erano mezzi preziosi solo se utilizzati per precisi obiettivi, occasioni e contesti.
Il riconoscimento scientifico della CAA
In quel periodo si svilupparono numerose ricerche che fornivano conoscenze e teorie di base e contribuirono al riconoscimento scientifico del campo della C.A.A.
I temi emergenti delle ricerche, che hanno motivato dibattiti e relazioni a congressi, hanno via via seguito diversi filoni. Sono state riportate ricerche su quali caratteristiche dei simboli grafici facilitassero l’apprendimento e la memorizzazione degli stessi, ricerche e articoli sull’argomento della “ selezione del vocabolario”, sulle modalità interattive tra il partner parlante e non parlante, ricerche sul ruolo dei simboli grafici nell’acquisizione della lingua e nell’apprendimento della letto- scrittura, ricerche sul controllo dei comportamenti-problema tramite la C.A.A., ricerche sulle tecniche di accelerazione della comunicazione tramite predizione lessicale.
Inoltre avvenivano dibattiti sulla terminologia in C.A.A., venivano svolte indagini sul grado di comprensione del linguaggio sintetico, venivano pubblicati articoli che riferivano l’applicazione della C.A.A. in diverse condizioni di disabilità e ancora ricerche sui diversi modelli di valutazione e intervento in C.A.A., fino alle più recenti ricerche sulla quantificazione dei risultati e sulla posizione della C.A.A. rispetto alla pratica basata sull’evidenza.
Sono tantissime le aree di sviluppo della C.A.A. che hanno portato ad un’evoluzione del pensiero, della metodologia di intervento clinico e dei percorsi di formazione; molte di esse sono alla base di quelli che oggi vengono considerati i principi di base della C.A.A.
La CAA in Italia
In Italia la diffusione e lo sviluppo della C.A.A. ha registrato e continua a registrare un ritardo rispetto al Nord America e al Nord Europa. Ancora nel 2009 possiamo ripetere quanto scrissero, riferendosi alla situazione negli USA negli anni ‘80, Zangari, Lloyd e Vicker nell’articolo dal titolo “Augmentative and Alternative Communication: An Historic Perspective” pubblicato sul giornale ufficiale dell’ISAAC: “Augmentative and Alternative Communication” nel 1984: “L’immobilità dei programmi universitari e delle organizzazioni professionali nel campo della comunicazione, tende a sminuire l’importanza di idee nuove che non emergono a livello accademico e che non hanno una solida base sperimentale. Così gli accademici, che giocano un ruolo rilevante nelle organizzazioni professionali non hanno riconosciuto l’importanza e l’influsso della C.A.A. fino agli anni ‘70 e ‘80 e tardano ancor oggi a riconoscere i contributi di coloro che forniscono il servizio diretto”.
Tappe significative nella diffusione della C.A.A. in Italia possono essere considerate i primi meeting internazionali del BCI a Catania e a Milano, rispettivamente nel 1983 e nel 1988. Successivamente nel 1989 la formazione del Gruppo Italiano per lo Studio della Comunicazione Aumentativa e Alternativa (GISCAA) e nel 1996 la creazione della prima e, tuttora, unica scuola annuale di formazione in C.A.A. a Milano presso il Centro Benedetta D’Intino onlus. La scuola di formazione è articolata in più seminari e vi collaborano docenti italiani e stranieri. Sono previste inoltre iniziative di II° livello per approfondire argomenti e temi di particolare rilievo nella pratica clinica in C.A.A..
La tappa certamente più significativa per il nostro Paese è stata la fondazione nel 2002 del Chapter ISAAC Italy. ISAAC Italy raduna in Italia le persone interessate e coinvolte nella C.A.A., cioè le persone che utilizzano la Comunicazione Aumentativa e Alternativa, i loro familiari ed amici, professionisti, tecnici ed aziende (come Needius) che distribuiscono in Italia ausili e materiali per la C.A.A. Scopi di ISAAC Italy, oltre a quello di sviluppare gli obiettivi di ISAAC Internazionale, sono quelli di divulgare e promuovere il campo interdisciplinare della C.A.A., facilitare l’accesso alle conoscenze specifiche e diffondere una corretta cultura di C.A.A anche attraverso le conferenze ISAAC in Italia (nel 2005 a Genova, 2007 a Roma, 2009 a Torino) e la traduzione di alcuni articoli e testi di rilevanza per la C.A.A..