L’autismo è uno “stigma” sociale, che condanna molte famiglie a un isolamento che va spezzato. È l’appello che Papa Francesco ha rivolto a “istituzioni e governi” nell’accogliere in Aula Paolo VI diverse centinaia di persone, in maggioranza bambini, affette da questa patologia. L’udienza ha concluso la 29.ma Conferenza internazionale promossa dal Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari.
Cari fratelli e sorelle,
grazie per la vostra accoglienza!
Vi ringrazio per aver voluto realizzare un’iniziativa così meritoria e
attuale, dedicata ad un tema complesso qual è l’autismo.
Saluto con affetto tutti voi che siete venuti a prendere parte a questo
incontro, incentrato sulla preghiera e sulla testimonianza, insieme alle
persone affette da disturbi dello spettro autistico, le loro famiglie e le
Associazioni di settore.
Tali disturbi costituiscono una delle fragilità che coinvolgono numerosi
bambini e, di conseguenza, le loro famiglie. Essi rappresentano uno di
quei campi che interpellano direttamente le responsabilità dei Governi e
delle Istituzioni, senza certamente dimenticare quelle delle comunità
cristiane.
È necessario l’impegno di tutti per promuovere l’accoglienza, l’incontro,
la solidarietà, in una concreta opera di sostegno e di rinnovata
promozione della speranza, contribuendo in tale modo a rompere
l’isolamento e, in molti casi, anche lo stigma che gravano sulle persone
affette da disturbi dello spettro autistico, come spesso anche sulle loro
famiglie. Si tratta di un accompagnamento non anonimo e impersonale, ma
che intende anzitutto ascoltare le profonde esigenze che sgorgano dal
profondo di una patologia, che molte volte stenta non solo ad essere
diagnosticata, ma – soprattutto per le famiglie – ad essere accolta senza
vergogna o ripiegamenti nella solitudine.
Nell’assistenza alle persone affette dai disturbi dello spettro autistico
è auspicabile quindi creare, sul territorio, una rete di sostegno e di
servizi, completa ed accessibile, che coinvolga, oltre ai genitori, anche
i nonni, gli amici, i terapeuti, gli educatori e gli operatori pastorali.
Queste figure possono aiutare le famiglie a superare la sensazione, che a
volte può sorgere, di inadeguatezza, di inefficacia e di frustrazione.
Ringrazio perciò per l’azione compiuta ogni giorno dalle famiglie, dai
gruppi parrocchiali e dalle varie Associazioni che sono qui oggi
rappresentate e di cui abbiamo ascoltato significative e commoventi
testimonianze. A tutti loro va la mia riconoscenza personale e quella di
tutta la Chiesa.
Incoraggio, inoltre, l’impegnativo lavoro degli studiosi e dei
ricercatori, affinché si scoprano al più presto terapie e strumenti di
sostegno e di aiuto per curare e, soprattutto, per prevenire l’insorgere
di questi disturbi. Tutto ciò nella dovuta attenzione ai diritti degli
ammalati, ai loro bisogni e alle loro potenzialità, salvaguardando sempre
la dignità di cui è rivestita ogni persona.